Capitolo III

Al di là della porta

A metà tra il romanzo di costume ed il noir. La protagonista trova il marito accasciato al di là della porta di casa e, per quanto gli inquirenti decidano, in base alle circostanze, per il suicidio, la donna si adopera per riconoscere l’autore o gli autori del delitto e giunge alla conclusione dopo innumerevoli vicissitudini. Il racconto mette a nudo diverse realtà della società di oggi, fra organizzazioni a delinquere e personaggi malavitosi o semplicemente ambigui, senza dimenticare l’attenzione al particolare geografico, nell’ambiente del levante ligure ben noto all’autore per avervi trascorso una importante parte della propria vita lavorativa.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Ott 30

Capitolo III

Capitolo Terzo

di Aldo Carpineti

capitolo terzo

Può sembrare un controsenso, le autorità giudiziarie chiusero presto la pratica pronunciandosi per l’ipotesi del suicidio: ritennero che tutti gli indizi convergessero in tale direzione, soprattutto il fatto che il cadavere era appoggiato alla porta e non sarebbe stato possibile a nessuno di aprire e chiudere per uscire senza spostarlo; ma anche perché era stato sparato un colpo solo e, date le caratteristiche del foro e le bruciature sui labbri di esso, e l’angolatura della traiettoria, il colpo doveva essere stato esploso con la canna molto vicina alla fronte; la pallottola era entrata da destra verso sinistra e si era fermata contro la parete interna della scatola cranica nei pressi della tempia opposta, esattamente come se a premere il grilletto contro la propria fronte fosse stata la mano destra di Mirko Bonelli; nel caso di omicidio, lo sparatore, trovandosi di fronte alla vittima, avrebbe dovuto essere mancino. Secondo loro, l’uomo, per qualche ragione non conosciuta, si era sparato alla testa ed era caduto riverso contro la porta, così come lo avevano trovato.

Delia uscì fuori di sé quando conobbe l’esito dell’indagine: lei non la pensava proprio così; era certa che Mirko non sarebbe mai arrivato ad uccidersi, perché era un uomo equilibrato e non aveva né problemi economici né di gestione della propria azienda; lei era sicura di conoscerlo meglio di quanto in genere le mogli conoscano i propri mariti, c’era una confidenza naturale e profonda fra i due, dovuta all’affinità di modi di pensare ed al carattere aperto di entrambi; tutt’al più poteva essersi scoperto una malattia, ma in quel caso sicuramente gliene avrebbe parlato, avrebbe cercato conforto in lei, non sarebbe mai arrivato a compiere un gesto disperato, perché aveva una innata tendenza a vedere le cose in chiave ottimistica; insomma non c’era alcuna ragione perché dovesse decidere per una risoluzione estrema, nemmeno in un attimo di sconforto; e poi, quella pistola non registrata da dove saltava fuori? Mirko non aveva mai tenuto armi.

Così Delia, nei momenti liberi dal lavoro, in compagnia di Giusy, non sposata e molto affezionata alla sorella maggiore, cominciò ad andare in cerca di informazioni: l’una e l’altra conoscevano il mondo, sapevano muoversi all’interno di tutti gli ambienti e di tutte le situazioni per l’abitualità a destreggiarsi nelle logiche che regolano i rapporti all’interno delle forme di aggregazione umana di ogni genere ma soprattutto quelle professionali e di business che, una volta imparate, sono poi ovunque simili anche in contesti apparentemente diversi.

Partirono dall’azienda, che aveva gli uffici in un appartamento di cinque stanze arredate con criteri moderni, adatti alla destinazione professionale: Mirko aveva cominciato a lavorare molti anni prima in una saletta-studio della casa di famiglia alla periferia sud-est di Sarzana, verso Marinella, non lontano dalla palestra Get-Up, poi si era allargato spostandosi nei locali di quello stabile nel centro cittadino: lì aveva tenuto per sé la stanza più grande, per assicurarsi la possibilità di farci entrare tutti i suoi strumenti da disegno; le tre stanze piccole, che avevano ampi scaffali ai muri, nel mezzo tavoli e sedie, erano adibite a biblioteca tecnica, archivio e raccolta modelli, sui tavoli era possibile stendere i mappali e i grandi fogli dei disegni per studiarli comodamente nel dettaglio; nella stanza a fianco a quella del geometra stava Serena, la segretaria, una ragazza che era entrata in azienda dopo aver lavorato per undici mesi presso un commercialista e che, per il suo ruolo, era la persona più frequentemente a contatto con Mirko; la ragazza usava molta precisione nel lavoro, era addirittura pignola, e non faceva mistero di voler apprendere, più presto che fosse possibile, tutti i segreti della contabilità e dell’amministrazione del personale per poter poi metter su un’azienda per conto proprio: portava occhiali con montatura tradizionale, in tartaruga, pettinatura e abbigliamento piuttosto seriosi, adatti forse ad una persona più matura di quanto fosse la sua età, tuttavia aveva mentalità e modo di fare moderni, consoni ai suoi ventiquattro anni e lo dimostrava la sua capacità di rispondere a tono e con il sorriso sulle labbra alle battute di chi voleva fare lo spiritoso con lei. La morte di Mirko l’aveva choccata profondamente, ma lei non aveva interrotto il lavoro neppure per un giorno, anzi si era data da fare a gestire anche le materie che non rientravano nelle sue competenze per non lasciare l’impresa allo sbando e per assicurare continuità in modo da consentire a chi l’avesse poi rilevata di trovare ogni aspetto gestionale sotto controllo: l’amore per l’azienda e l’interesse alla conservazione del proprio posto l’avevano determinata a comportarsi secondo questi criteri di responsabile raziocinio.

Giusy le chiese se ricordasse quali fossero stati, in quel terribile giorno, gli spostamenti del geometra e lei rispose che il principale aveva lasciato lo studio all’ora di pranzo, dopo aver lavorato da solo per tutta la mattina ad un progetto nuovo. Le aveva detto che non sarebbe ritornato in azienda fino al giorno dopo perché prima voleva fare un sopralluogo su uno dei cantieri stradali ad Arcola e poi, dalle due e mezza, avrebbero potuto trovarlo a casa; era di ottimo umore, come sempre, e non erano visibili in lui segni di preoccupazione. Questa descrizione confermava le supposizioni di Delia: se avesse meditato un suicidio non avrebbe potuto avere l’animo disteso né lavorare per mezza giornata serenamente come aveva fatto; i suoi atti erano, secondo logica, quelli di chi pensava di avere tutta una vita davanti. “Informati in pomeriggio sull’appalto per la piazza del Comune di Tellaro - aveva detto Mirko a Serena uscendo - i risultati della gara dovrebbero essere noti oggi nel tardo pomeriggio”.

Svolgere queste indagini nel cuore di quella che era stata l’attività lavorativa del marito costava fatica a Delia cui toccava adesso di avere il riscontro reale a tante loro conversazioni; conoscere nel concreto il mondo di cui Mirko le parlava la sera a cena o durante i week-end era qualcosa che la emozionava profondamente; nondimeno procedeva con grande determinazione.

Le due donne si spostarono sul cantiere; il capo-operaio disse che quel giorno Mirko era passato, certamente, ma si era fermato soltanto pochi minuti, il tempo di vedere che tutto procedesse per il verso giusto e controllare, in particolare, che un muretto fosse stato fatto secondo le sue indicazioni. Ma nulla sembrava diverso dal solito: quando se ne andò mancava una ventina di minuti alla ripresa del lavoro delle quattordici. ‘Mirko aveva dunque pranzato a casa - pensò Delia - o in qualche trattoria, certamente non in un bar perché, quando non mangiava il panino in ufficio, aveva l’abitudine di pranzare comodamente, con le gambe sotto un tavolo, come diceva lui; ma comunque era poi rincasato subito, anche per essere disponibile ad eventuali telefonate’: non aveva mai voluto comperare un cellulare, non gli piaceva l’idea di essere disturbato in qualsiasi momento e situazione si trovasse e usava il telefono fisso in studio o in casa per comunicare. Delia e Giusy proseguirono la loro indagine.

Nessuna delle trattorie da lui frequentate conservava, fra le altre, copie di fatture per pranzi di Mirko Bonelli da diverso tempo. “Più probabile che abbia mangiato qualcosa a casa pescando nel frigorifero, come era solito fare quando rientrava, prestando cura, poi, di non lasciare nulla in disordine; ma perché? cosa avrebbe dovuto fare quel pomeriggio a casa?”

In una tasca del vestito indossato da Mirko quel maledetto giorno, Delia aveva trovato le chiavi dell’appartamento e quelle della macchina, un fuoristrada Mercedes che il marito teneva nel box sotto il primo piano. Andò a vederla per ricavarne eventuali indizi e tutto le parve in ordine salvo i segni di una botta sul parafango anteriore sinistro: niente di grosso, ma comunque evidenti. Non diede gran peso alla cosa ma si ripropose di non dimenticare il particolare.

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