Capitolo III

Moderna gestione delle Risorse Umane

Negli ultimi decenni si è riconosciuta un'importanza strategica primaria alle modalità di coinvolgimento nella attività aziendale di tutto il personale (indicato, appunto, con il termine "Risorse Umane" dalla terminologia inglese "Human Resources"). È fuori dubbio infatti che dal proporsi della popolazione aziendale rispetto al contesto della azienda e verso l'esterno, nonché dalle condizioni di "vita" all'interno della unità produttiva discenda una maggiore o minore resa in termini di produttività e, in definitiva, in termini economici e di bilanci finali. Senza contare che tutta la materia ha anche una rilevanza non meno significativa dal punto di vista delle etiche sociali, alle quali il mondo della produzione sembra essere sempre più attento. In altre parole benessere aziendale e profitti produttivi sono concetti che spesso vanno di pari passo.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Feb 1

Capitolo III

Il colloquio conoscitivo

di Aldo Carpineti

capitolo iii

Il colloquio rappresenta il primo incontro tra l’azienda e il candidato, è perciò fondamentale affrontarlo e svilupparlo secondo le migliori modalità allo scopo di “partire bene” da una parte e dall’altra, al di là di quelle che sono le finalizzazioni naturali alla scelta conclusiva di un solo soggetto rispetto ad altri eventuali candidati. Non è infatti da sottovalutare il fatto che il selezionatore rappresenta per il selezionato “il primo viso” che l’azienda gli propone e da esso questi, ancorché inconsciamente, si farà necessariamente un’idea, che potrà essere più o meno rispondente al vero, delle caratteristiche “umane” e “professionali” che sono proprie dell’ambiente con cui avrà a che fare dopo il suo ingresso. In questo senso il colloquio assume una valenza bidirezionale, segnatamente nei casi in cui il candidato possa permettersi la scelta fra più di una azienda. Non è infrequente, infatti, che un’azienda si “lasci scappare” il soggetto più adatto alle proprie esigenze per l’inadeguatezza messa in mostra dal selezionatore.
Questi dovrà quindi essere una persona di esperienza, indifferentemente uomo o donna, conoscitore dell’azienda dal punto di vista delle risorse umane e di ogni aspetto della struttura, non solo per poter valutare appieno le probabilità di favorevole inserimento del candidato, ma anche per essere in grado di rispondere adeguatamente alle domande che il selezionato possa porgli e agli atteggiamenti di
comprensibili “attese” che quest’ultimo riversi su di lui. Invece è purtroppo una prassi diffusa in molte aziende che il selezionatore sia un persona troppo giovane ed anche inesperta, spesso un neo-laureato alla sua prima esperienza professionale: si ritiene, infatti da parte di molti responsabili d’azienda che la “selezione” possa essere una prima “buona scuola” per il prosieguo della carriera, dimenticando quali sono i delicati contenuti ed anche le difficoltà della funzione. In questi casi l’esaminatore dovrà, almeno, aver compiuto un adeguato periodo di affiancamento ad altra persona esperta.
Il luogo in cui si svolge il colloquio può essere l’ufficio del recruiter, una saletta dell’azienda o, se preferibile per la riservatezza che assicura, la saletta di un hotel: quest’ultima soluzione apparirà necessaria se i colloqui vengono realizzati “in trasferta”.

L’incontro avviene generalmente tra due persone che non si sono mai viste prima, per cui suscita sempre almeno un minimo di apprensione da una parte e dall’altra, anche se lo stato emotivo sarà ovviamente più marcato nel selezionato, se non altro per le aspettative che ripone nella circostanza. Lo stesso fatto di ricevere l’interlocutore stando “dietro ad una scrivania” mette il selezionatore in una condizione di preminenza rispetto all’altro. Sarà quindi necessario saper gestire questi stati d’animo per ottenere i migliori risultati. Nel caso in cui selezionatore e selezionato si conoscano da data precedente a questo primo incontro, sarà bene che il selezionatore venga sostituito, per l’occasione, da altra persona competente.

Il clima che si instaura fra i due soggetti dipende, per una percentuale sicuramente molto alta, dal selezionatore: egli, a seconda della sua volontà e del suo carattere, potrà creare un clima più o meno disteso o un clima di tensione: le stesse prime parole del selezionatore, che dovrà, secondo prassi, aprire la conversazione, saranno determinanti in tal senso.

Secondo alcuni il selezionatore dovrà mantenere per tutta la durata dell’incontro un atteggiamento di “corretto distacco” dal candidato, per non influenzarne le reazioni e per essere, poi, in possesso dei criteri di giudizio valutativo più obiettivi fra tutti i candidati. Secondo altri, è invece il caso che il selezionatore si adoperi per creare con l’altro soggetto una situazione di empatia, perché il candidato possa esprimersi al meglio e “tirare fuori” tutto se stesso. In ogni caso il valutatore dovrà essere in grado, qualunque sia il suo approccio, di conservare un metro di giudizio uniforme per tutti i candidati incontrati per una stessa selezione, astraendosi da personali “simpatie” del momento.

Fra gli esaminatori c’è chi considera il colloquio come la simulazione di un vero e proprio rapporto di lavoro, pertanto esso potrà assumere un significato che va al di là delle informazioni raccolte e delle impressioni tratte dai comportamenti. Dall’atteggiamento del candidato, insomma, il selezionatore riterrà di potersi fare una prima idea di come l’assumendo si rapporterà nelle situazioni collaborative interne all’azienda ed in quelle nelle quali egli possa diventare il portavoce di essa nei suoi contatti esterni.

Al valutato converrà sempre mantenere un atteggiamento “onesto”  sia prima, in sede di redazione del curriculum, sia in occasione dell’incontro con il valutatore: gonfiare troppo le proprie esperienze o addirittura inventarle di sana pianta sarà, nello sviluppo della conoscenza reciproca o, al più tardi, durante il rapporto di lavoro che si verrà ad instaurare, molto difficilmente sostenibile, e avrà il solo effetto di produrre una pessima impressione nell’esaminatore o, in momenti successivi, difformità qualitative delle prestazioni da quelle che l’azienda si attendeva dal neo-assunto. Ciò non toglie che dovranno, invece, essere messe in mostra tutte le proprie capacità senza reticenze e senza false modestie, con chiarezza e con descrizione diffusa, per creare una completa immagine di sé e delle proprie potenzialità professionali, almeno avuto riguardo alla posizione di cui si tratta.

Fra i candidati più giovani è spesso diffusa l’abitudine di tacere precedenti esperienze lavorative che non abbiano attinenza con i propri studi o che possano essere considerate “dequalificanti” perché non all’altezza della qualifica richiesta. Va invece tenuto presente che il selezionatore (sempre che sia una persona di buon senso) trarrà migliore impressione dal fatto che il soggetto si è adoperato dopo gli studi in qualche lavoro (anche “lavoretto”) piuttosto che rimanere inattivo ad attendere passivamente l’occasione di un impiego adeguato alle proprie aspettative: il “darsi da fare” in qualsiasi modo è cioè sempre segno di ingegnosità e impegno, nella più riduttiva delle ipotesi di “buona volontà”.

Si consiglia altresì al candidato un atteggiamento fondamentalmente “sobrio”, non eccedente nelle esagerate seriosità e involuzioni espressive ma neppure nelle concessioni a battute di spirito oltre il dovuto. Una giusta compostezza di fondo, senza esagerazioni nell’uno o nell’altro senso, è l’atteggiamento che più si confà alla situazione e che si richiede, in genere, al candidato da parte dell’esaminatore. Il che non significa, anzi è vero tutt’altro, che il selezionato debba dimostrarsi “musone”: incontrare un animo sereno è sempre molto rassicurante per l’esaminatore ai fini di esprimere un giudizio positivo con una certa tranquillità. L’abbigliamento dell’esaminato potrà rifarsi al tipo di occupazione richiesta, ma dovrà essere sempre pulito e ordinato.

Al tempo stesso gioverà al candidato un atteggiamento spontaneo e ragionevolmente concentrato, non troppo studiato né eccessivamente preoccupato di quelli che possono essere tutti i motivi di attenzione da parte del valutatore sulla sua persona.

Si sa, infatti che esiste tutta una serie di atteggiamenti che vengono generalmente tenuti presenti dall’esaminatore ai fini del proprio giudizio al di là di quello che “viene detto”. Anzitutto il “come” le cose vengono dette: il tono di voce, le inflessioni, le pause; e poi il cosiddetto “linguaggio del corpo”, vale a dire le posture, i movimenti, i tic, gli atteggiamenti ripetitivi, il comportamento delle braccia, delle gambe, delle mani.

Parallelamente, da parte dell’esaminatore deve essere data un’importanza non definitivamente determinante a quelli che sono considerati i classici “segni rivelatori” della personalità, secondo cui le braccia conserte rappresentano chiusura, il toccarsi ripetutamente il naso scarsa sincerità, muovere le gambe accavallate nervosismo, le mani giunte sottomissione, perché questi atteggiamenti possono essere relativi ad un momento, e non rappresentare la personalità dell’esaminato nella generalità dei propri stati. Una valutazione dovrà essere data facendo riferimento a tutto il contesto. Certamente però se l’esaminato rimarrà per tutta la durata del colloquio con le braccia incrociate sul petto o agiterà freneticamente gli arti inferiori qualche impressione potrà essere tratta a buon diritto dall’esaminatore.

I contenuti del colloquio possono essere i più svariati, ma si sconsiglia vivamente l’esaminatore dall’aprire la conversazione con la richiesta “Mi parli di lei”, assolutamente generica ed imbarazzante soprattutto per chi non abbia una esperienza pregressa di altri colloqui. E’ consigliabile, invece, che l’esaminatore faccia precedere l’inizio dello scambio da una breve esposizione delle caratteristiche dell’azienda e della posizione per cui il candidato è stato convocato, oppure dall’informazione che il colloquio ha un valore puramente informativo e, per il momento, non finalizzato ad alcuna posizione aperta.

E’ bene evitare anche le cosiddette domande “chiuse”, alle quali l’esaminato sia costretto a rispondere esclusivamente con un “sì” o con un “no”. La domanda dovrà valere invece come apertura di un argomento da trattare; sarà frequente, dunque, per l’esaminatore inserirsi con la richiesta del “perché”. Gli studi, le modalità del trascorrere il proprio tempo al di fuori degli impegni scolastici ed universitari, i rapporti con la gente e i comportamenti in compagnia potranno essere gli argomenti classici su cui verterà il primo incontro con il candidato neo-diplomato o neo-laureato; le esperienze lavorative, il maggiore o minore gradimento di esse, i rapporti con i responsabili e i colleghi, i motivi per cui si ha disponibilità a cambiare, le aspettative per il ruolo che si andrà a ricoprire quelli da affrontare con chi abbia già avuto altre esperienze lavorative. Ma poi la conversazione potrà spaziare sugli argomenti più diversi e per le strade che più si riterranno opportune avendo riferimento alle peculiarità del candidato e a quello che gli si richiede nello specifico da parte dell’azienda. Tenendo sempre bene presente però, da parte dell’esaminatore, che dovrà essere sempre lui stesso a mantenere il controllo e imprimere le direzioni della conversazione senza che il candidato prenda il sopravvento e finisca per dirigere le operazioni.
Va detto, infine, che è poco corretto utilizzare il curriculum presentato dal candidato per chiedere informazioni e notizie di lui ai precedenti datori di lavoro, soprattutto se il candidato non abbia espressamente acconsentito: se l’operazione sia lecita, ai sensi di quelli che sono i principi sulla privacy, pare fortemente dubbio e gli esaminatori, se sono all’altezza dei propri compiti, dovrebbero essere in grado di trarre una propria valutazione completa dagli incontri, se del caso anche molto approfonditi: anche la richiesta delle cosiddette
“referenze” è una prassi ormai poco usuale e non appropriata per chi svolga professionalmente la funzione del selezionatore. Il datore di lavoro per il quale il candidato sta attualmente lavorando non deve mai, in nessun modo, essere contattato; chi lo facesse andrebbe contro le più elementari norme della deontologia aziendale.

Dell’avvenuto incontro dovranno essere redatti accurati appunti scritti, che si riveleranno sicuramente indispensabili per ritornare sulla “selezione” conservando ogni possibilità di ricostruire il percorso, candidato dopo candidato ed emettere quindi il giudizio finale, ed anche per tenere un archivio intelligente di tutte le persone visionate. L’eventuale fotografia del candidato spillata sul curriculum potrà essere utile per ricordare a colpo d’occhio il soggetto.

Il ruolo dell’esaminatore viene opportunamente e sempre più spesso svolto, nelle aziende come nelle società di recruiting, da psicologi o da laureati in materie umanistiche (ancor meglio se abbiano maturato precedentemente una corposa esperienza all’interno di altre funzioni dei Settori del Personale, precipuamente nella formazione), professionisti che sono particolarmente adatti, per i loro studi e le loro inclinazioni, a riconoscere i diversi aspetti della personalità e dell’animo umano. 

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