Elefanti e Topi

Elefanti e Topi

Due giovani genovesi Arrigo ed Egle si incontrano a Parigi sotto uno dei campanili di Notre Dame. Ad un iniziale momento di difficoltà di comunicazione reciproca subentra fra i due una fitta conversazione complice anche il viaggio di ritorno dalla Francia a Genova, dove lui è titolare di un dottorato di ricerca in Scienze politiche, mentre lei è laureata in Scienze Biologiche ed aspetta di trovare lavoro. Continuano a frequentarsi scambiandosi una conversazione spesso anche impegnata ma fra i due non nasce un amore vero e proprio.
Egle viene chiamata a lavorare presso una azienda in Alto Adige dove intraprende una interessante esperienza. Nel frattempo l’uno e l’altra conoscono amori diversi. Dopo 4 o 5 mesi, tornata a lavorare in un'azienda genovese, Egle riprende i contatti con Arrigo ed i due svolgono anche attività professionale assieme. L’amore fra i due giovani è alle porte e non tarderà a sbocciare.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Elefanti e Topi

Lug 23

Elefanti e Topi

Capitolo Terzo

di Aldo Carpineti

elefanti e topi, capitolo terzo

“Quando potremo portarla a Genova, René?” chiese Egle al primario.

“È presto per dirlo, ma se tutto va bene fra una decina di giorni dovrebbe essere in grado.”

Egle prese accordi con Arrigo, Rossana e Giovanna sul da farsi: lei rimaneva ad occuparsi di Giuditta in ospedale, i tre rientravano insieme a Genova. Salvo controindicazioni a muovere la ragazza, Arrigo diede la propria disponibilità per tornare a Parigi a distanza di sette giorni, ed essere presente, con Egle, sull’ambulanza che avrebbe portato Giuditta al San Martino di Genova. Egle ne fu contenta. “Non vi consiglio un viaggio in aereo – aveva detto ancora René Luxembourg – i vuoti d’aria potrebbero farle male; l’ambulanza è il mezzo migliore, alla guida ci sarà un esperto.”

Trascorsi i dieci giorni in ospedale, a conferma delle migliori previsioni, Giuditta era pronta per affrontare il viaggio: si era ripresa bene, stava visibilmente meglio nel colorito ed ogni esame clinico dava segnali confortanti, il piccolissimo grumo di sangue si era riassorbito completamente; la sua conversazione e gli aspetti cognitivi erano diventati regolari, lo stato d’animo sufficientemente sollevato. Non ricordava nulla di quanto era accaduto in Notre Dame ma, a parte questo particolare più che comprensibile, la memoria su ogni altro momento della sua vita non mostrava lacune ingiustificate; e aveva voglia di tornare a casa: Parigi non le aveva portato bene, ma ci sarebbe ritornata prima o poi, per sfatare quella circostanza sfigata e godersi finalmente una vacanza come si deve nella ville lumière, che rimaneva uno dei suoi pallini.

Arrigo riprese il suo lavoro a Genova il tempo di pochi giorni: aveva un Dottorato di ricerca alla facoltà di Scienze politiche; si occupava della legislazione italiana nonché dell’intervento dell’authority in materia di antitrust e, nello specifico, dei riflessi nei rapporti con l’estero.

Passati i dieci giorni, riuscì a prendere un aereo senza necessità di prenotare, Egle lo aspettava al Charles De Gaulle; un volo economicissimo, su una di quelle linee minori che di solito prediligono scali di secondaria importanza per risparmiare sulle spese; ma, in quella occasione, la compagnia si era concessa un atterraggio sul più importante aeroporto francese, senza per questo aumentare i prezzi.

Egle abbracciò Luxembourg, “Salutami papà, spero di vederlo presto” disse lui.

“Giuditta?” domandò Arrigo.

“Bene, proprio bene; è pronta per partire, ed è ansiosa di ringraziarti.”

“Avrà tutto il tempo, staremo insieme un bel po’…”

L’atmosfera sembrava sollevata, gli umori non erano pesanti come dieci giorni prima; durante i rapidi preparativi per la partenza il giovane si interessò: “Tu che fai, Egle, lavori in questo periodo?”

“Sto cercando, ho studiato Scienze naturali e, come sai, non è facile trovare un’occupazione con una preparazione accademica come la mia.”

“Che cosa ti piacerebbe fare?”

“Lavorare nell’ambito della difesa dell’ambiente.”

“Mi sembra un luogo comune.”

“Non lo è: se non amassi la natura non avrei studiato scienze; tu di che ti occupi?”

“Di posizioni dominanti nell’economia.”

“Che cosa sono?”

“Sono una conseguenza del sistema liberistico, ma nuocciono alla stessa concorrenza; quando riguardano aziende multinazionali il fenomeno può diventare un problema di buon vicinato fra stati; ed allora supera il confine privatistico e assume un’importanza anche a livello politico e diplomatico internazionale.”

“Forse l’argomento potrebbe rientrare nell’ambito molto vasto della responsabilità sociale delle aziende; che ne dici?”

“Non saprei, è un fatto tipicamente economico-finanziario, la responsabilità sociale investe altri aspetti della realtà produttiva, soprattutto di natura etica.”

“Sono d’accordo ma, in senso lato, potrebbe rientrarvi.”

“Potrebbe.”

Arrigo si era raccomandato con Egle perché al Pitié Salpetrière allestissero l’ambulanza in modo da permettere loro di stare tutti e tre insieme nel vano porta-malato, come nella corsa da Hotel Dieu: il conducente e il medico si sarebbero tenuti compagnia nella cabina di guida, anche se sul sedile davanti c’era posto per una terza persona; accanto al lettino di Giuditta erano state sistemate due poltroncine fisse abbastanza comode, tanto da assicurare un viaggio quanto fosse possibile confortevole ai due giovani, a tu per tu con la convalescente.

Salutarono la capitale francese, “arrivederci - disse sottovoce Giuditta tenendo le braccia distese sul lettino e sollevando appena la mano destra sul polso – l’air de Paris mi ha giocato un brutto scherzo, ma non finisce qui”, strinse la stessa mano a pugno e accennò appena un sorriso.

“Stattene buona – Egle le accarezzò l’avambraccio – c’è tempo per le rivincite.”

Arrigo cercava di guardare fuori attraverso il sottile bordo trasparente di un finestrino smerigliato, per rendersi conto di quale tragitto si facesse per uscire dalla città; Egle temette per un momento che l’incomunicabilità riprendesse il sopravvento, sarebbe stato un bel problema, con tutta quella strada da percorrere insieme.

Arrigo, senza farlo di proposito, fugò subito i suoi dubbi: “La Senna è un fiume tutto particolare, si confonde quasi con l’abitato: tutt’altra cosa rispetto al Tamigi a Londra e al Danubio a Vienna e Budapest.”

Questa considerazione la colpì, Arrigo aveva un modo interessante di osservare le cose: “Cosa vuoi dire?”

“Che qui il fiume, i palazzi e le persone formano un tutt’uno: forse per les bouquinistes sulle rive, per i riflessi e perché ci sono tante chiatte e barconi, forse per gli stessi colori, l’acqua vive con la città. Te l’ho detto, in Ungheria il Danubio è una cosa, Buda e Pest sono un’altra, c’è un contrasto evidente fra la massa d’acqua, che scorre solenne, quasi addormentata, e la terraferma che vive, sono due elementi ben diversi, opposti; qui no, pulsa di vita anche ogni centimetro di superficie del fiume.”

Egle, per il momento, non se la sentì di annuire né di controbattere, “buona idea quella di partire alle sette del mattino – soggiunse – così abbiamo tutta la giornata davanti.”

Giuditta chiedeva notizie di cosa fosse accaduto in quei giorni in Italia e nel mondo, le risposero che c’erano anche da noi momenti di forti contrasti su motivi di politica estera e sociale: Arrigo riprese il discorso sui fiumi: “Il Po rischia di asciugarsi, l’ho letto sui giornali italiani, c’è preoccupazione, se così fosse tutta la Pianura Padana nei secoli diventerebbe un deserto.”

“Visto, Arrigo? gira e rigira, i discorsi vanno sempre a finire sull’argomento ambientale ed ecologico! fra tutti è il più urgente, meno male che la gente se ne sta rendendo conto, tutti, politici ed opinione pubblica; ci dobbiamo muovere insieme e in fretta. Prendiamo proprio il Po, ha un corso molto particolare, è tranquillo in Piemonte e nella Lombardia occidentale, diventa incredibilmente tumultuoso e vorticoso nelle zone di confine tra le province di Mantova e Ferrara, intorno a Sermide e Viadana, per intenderci: l’ho visto anni fa, lì se ci caschi dentro, scompari in un baleno, a guardarlo fa venire le vertigini, non è un caso che abbiano costruito degli argini potentissimi; sembra impossibile, impetuoso com’è, che persino da quelle parti possa asciugarsi.”

L’ambulanza sostò ad un semaforo, Arrigo poté sbirciare come un pittore, sul bordo del fiume, vedeva la Senna attraverso i propri quadri; “ognuno a suo modo” commentò. “È vero - proseguì – l’ho visto anch’io, il Po, nel basso mantovano. Ma tu la tesi su cosa l’hai fatta?”

“Sull’evoluzionismo, parte dalle teorie darwiniane.”

“Beh, ha poco a che vedere con la violenza del Po a Sermide.”

“Lo dici tu; anche quella è frutto di uno sviluppo, che ha inizio dalla fonte del Monviso.”

“In questi termini, ogni cosa è la conseguenza di ciò che è avvenuto prima.” Lo sguardo di Arrigo si era staccato dal finestrino e si era posato con insistenza sul viso di Egle.

“Certo, ogni cosa.”

“E con questo?”

“Lo sviluppo è intrinseco nelle cose; nulla mai riposa definitivamente.”

Arrigo tacque e guardò Giuditta: anche lei ascoltava con interesse, ma preferiva non intervenire, guardò a sua volta Arrigo come se ora toccasse a lui proseguire: il dialogo dei suoi due amici si faceva interessante e lei non intendeva comprometterlo con una sua intromissione. Arrigo invece si voltò verso Egle, come per trasferirle la responsabilità delle parole successive. “Vuoi un po’ di caffè? – gli disse lei – l’ho messo nel thermos; Giuditta, un po’ di the? che ne dite di mangiare qualcosa? vale la pena di assaggiare un croissant, stamattina, prima di lasciare la Francia. Siamo ancora nella periferia della città, non dovrebbe essere difficile incontrare una buona boulangerie.”

Chiesero al conducente di fermarsi quando vedesse un forno, e lui eseguì puntualmente; Arrigo fece una corsa a comprare cinque croissants con la marmellata: a Giuditta venne detto di masticare lentamente, a piccoli pezzi, come faceva in ospedale; tutti bevvero the, il medico e l’infermiere ringraziarono.

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