Genova | la città ideale: una riflessione per genova

La Superba in primo piano ancora una volta

La cattedrale testimone di un ciclo di conferenze atte a coinvolgere in un dialogo ed uno scambio d'opinioni come momento d'aggregazione in un pensiero comune

di Antonella Vella

Cattedrale di San Lorenzo
Cattedrale di San Lorenzo

Cattedrale aperta con Lorenzo Ornaghi, presidente della Veneranda Biblioteca Universitaria e Giuliano Ferrara, giornalista.

Mercoledì 30 Gennaio ore 18.30 un pubblico numeroso ha presenziato al dialogo aperto a tutti su quella che è la città ideale. Affrontata come utopia, luogo che non c’è, immaginario, inesistente e come eu-topia, luogo felice o meglio luogo felice inesistente.

Lorenzo Ornaghi si sofferma nell’analisi dettata dall’uso delle due parole introdotte con l’opera di Tommaso Moro, intellettuale dai mille volti, che ha dato voce ai progetti relativi alla riforma sociale legata attraverso un genere letterario che affronta interrogativi etico-morali connessi, anche, al volto della città.

Egli in qualità di accademico e rettore italiano, nell’affrontare l’argomento abbraccia e cita testi relativi a filosofi dell’800 analizzando la storia dell’essere umano in costante corsa alla ricerca della città come riferimento, come fondamento per grandi idee, come costruzione ed espansione della politica garante dei bisogni totalitari conosciuti, tangibili o semplicemente agognati.

La città ideale è stata immaginata, disegnata, scoperta ed inventata dapprima con la sola urbs, città per antonomasia che indicava solo le mura e gli edifici con un dentro ed un fuori ed in seguito, formando la civitas, cioè la città-stato: l’insieme dei cittadini come elementi essenziali per l’esistenza della suddetta.

Il periodo del Rinascimento è stato la maggior espressione per potere e progresso delle citta-stato ed il nostro Stato l'artefice della massima gloria e cultura in ogni ambito influenzando il resto del mondo in ogni alta espressione specie in campo artistico. 

La città viene considerata, anche, dal punto di vista della costruzione politica perché l’architettura della stessa non prescinde da un pensiero legato all’equilibrio dettato dall’esigenza di identità fatte di potenza e comunione di intenti.

Il giornalista Ferrara, dopo dieci anni di assenza dal nostro capoluogo, ritorna e parla di Genova come centro pulsante di situazioni tra loro contrapposte, di una città travolta dalle acque e dalle incomprensioni, testimone dell’ansia nell’inseguire l’evoluzione e l’involuzione della civiltà moderna.

Città ideale proprio perché afferma la devozione, la cultura teologica con nomi secolari altisonanti protagonisti di un simbolo spirituale che avvolge i cittadini.

Armati da sempre di un scetticismo innato che per noi genovesi è un metodo sistematico di essere, reale e concreto, avanziamo in modo impaziente, con bruschi sussurri, per scrollare dalle nostre spalle tutte le implicazioni e le concause tecniche legate alla tragedia dello scorso agosto.

Ferrara parla di una città di infrastrutture, di porti, di mobilità, di sopraelevate posizionate di fronte a prestigiosi palazzi, di una città dalle grandi partenze che deve necessariamente tenere la testa sopra il pelo dell’acqua e continuare a galleggiare. Una passione che sfocia nella solidarietà, nella volontà di riscatto, nel riconoscere un’anima aristocratica che affronta i tornanti, le curve e ha una nobiltà che non è pura invenzione, ma storia legata a saldezza di istituzione.

Un miracolo straordinario in un Paese che pare non avere una propria direzione ed annaspa in una cultura non soddisfacente. Genova diventa un modello di città in quanto solida, unita nonostante il proprio tracollo, come simbolo spirituale di tutta l’Italia perché si ricorda sempre chi siamo e da dove dobbiamo ripartire.

A conclusione la riflessione del cardinale Angelo Bagnasco su una realtà che è sempre misurata, giudicata, pensata. Valutare la connessione con la storia che è fondamentale nel nostro percorso e guardare sempre avanti con voglia di costruire un futuro idealmente migliore.

Una spinta utopistica che consente di guardare oltre, anche se la tendenza delle attuali generazioni, è quella di guardarsi indietro (retrotopia) per cercare di recuperare punti fermi e consolidati nel tempo.

Cattedrale aperta con Lorenzo Ornaghi, presidente della Veneranda Biblioteca Universitaria e Giuliano Ferrara, giornalista.

Mercoledì 30 Gennaio ore 18.30 un pubblico numeroso ha presenziato al dialogo aperto a tutti su quella che è la città ideale. Affrontata come utopia, luogo che non c’è, immaginario, inesistente e come eu-topia, luogo felice o meglio luogo felice inesistente.

Lorenzo Ornaghi si sofferma nell’analisi dettata dall’uso delle due parole introdotte con l’opera di Tommaso Moro, intellettuale dai mille volti, che ha dato voce ai progetti relativi alla riforma sociale legata attraverso un genere letterario che affronta interrogativi etico-morali connessi, anche, al volto della città.

Egli in qualità di accademico e rettore italiano, nell’affrontare l’argomento abbraccia e cita testi relativi a filosofi dell’800 analizzando la storia dell’essere umano in costante corsa alla ricerca della città come riferimento, come fondamento per grandi idee, come costruzione ed espansione della politica garante dei bisogni totalitari conosciuti, tangibili o semplicemente agognati.

La città ideale è stata immaginata, disegnata, scoperta ed inventata dapprima con la sola urbs, città per antonomasia che indicava solo le mura e gli edifici con un dentro ed un fuori ed in seguito, formando la civitas, cioè la città-stato: l’insieme dei cittadini come elementi essenziali per l’esistenza della suddetta.

Durante il Rinascimento vi è la massima espressione della città-stato come vero potere e progresso delle civiltà e da quel periodo l'Italia ha il suo apice come Stato in grado di influenzare il mondo intero in qualsiasi campo ed ambito.

Si raggiunge, anche, una visione anche dal punto di vista della costruzione politica perché l’architettura della stessa non prescinde da un pensiero legato all’equilibrio dettato dall’esigenza di identità fatte di potenza e comunione di intenti.

Il giornalista Ferrara, dopo dieci anni di assenza dal nostro capoluogo, ritorna e parla di Genova come centro pulsante di situazioni tra loro contrapposte, di una città travolta dalle acque e dalle incomprensioni, testimone dell’ansia nell’inseguire l’evoluzione e l’involuzione della civiltà moderna.

Città ideale proprio perché afferma la devozione, la cultura teologica con nomi secolari altisonanti protagonisti di un simbolo spirituale che avvolge i cittadini.

Armati da sempre di un scetticismo innato che per noi genovesi è un metodo sistematico di essere, reale e concreto, avanziamo in modo impaziente, con bruschi sussurri, per scrollare dalle nostre spalle tutte le implicazioni e le concause tecniche legate alla tragedia dello scorso agosto.

Ferrara parla di una città di infrastrutture, di porti, di mobilità, di sopraelevate posizionate di fronte a prestigiosi palazzi, di una città dalle grandi partenze che deve necessariamente tenere la testa sopra il pelo dell’acqua e continuare a galleggiare. Una passione che sfocia nella solidarietà, nella volontà di riscatto, nel riconoscere un’anima aristocratica che affronta i tornanti, le curve e ha una nobiltà che non è pura invenzione, ma storia legata a saldezza di istituzione.

Un miracolo straordinario in un Paese che pare non avere una propria direzione ed annaspa in una cultura non soddisfacente. Genova diventa un modello di città in quanto solida, unita nonostante il proprio tracollo, come simbolo spirituale di tutta l’Italia perché si ricorda sempre chi siamo e da dove dobbiamo ripartire.

A conclusione la riflessione del cardinale Angelo Bagnasco su una realtà che è sempre misurata, giudicata, pensata. Valutare la connessione con la storia che è fondamentale nel nostro percorso e guardare sempre avanti con voglia di costruire un futuro idealmente migliore.

Una spinta utopistica che consente di guardare oltre, anche se la tendenza delle attuali generazioni, è quella di guardarsi indietro (retrotopia) per cercare di recuperare punti fermi e consolidati nel tempo.

I nostri giovani sono avvolti da incertezze legate al mondo del lavoro, della famiglia, degli affetti e della mera realizzazione della propria persona prendendo ad esempio standard fittizi che non danno nessuna sicurezza. Le ancore e gli appigli sono loro negati ed il domani si presenta imprendibile, fatuo, sfuggente.

La consapevolezza della città che si stringe in un abbraccio sprigionando un senso di appartenenza non esclusivo, ma inclusivo rende Genova la città ideale per camminare insieme.

Venerdì 1 febbraio 2019