Genova | LETTERE DI UN MISSIONARIO: FIGLIO DELL'UOMO, PREPARA I TUOI BAGAGLI...

P. Luigi Kerschbamer missionario: le Lettere

11. Gli Esercizi Spirituali ad Aparecida

Il tempo di ferie è anche tempo di Dio per i costruttori del suo regno, tempo per rifarsi, per ricaricarsi, per aggiornarsi, per riempirsi nuovamente i polmoni di aria pura, della forza di Dio

di Gutti Carpineti

P. Luigi
P. Luigi

TEMPO DI FERIE

«Maestro, facciamo tre tende…»(Marco 9, 15)

Solenni e gioiose, allegre e piene di fede si alzano centinaia di voci e il doppio di braccia e di mani, cantando: «Io ho un amico che mi ama...». Molti occhi sacerdotali si scrutano soddisfatti gli uni gli altri perchè il vescovo, dicendosi interprete dello Spirito, aveva raccomandato sobrietà ai sacerdoti concelebranti, perchè pensava che avrebbero meravigliato i fedeli se fossero stati troppo ardenti nella lode. Invece sono i fedeli, che, non avendo sentito l'invito prudente del vescovo, irradiano l'ebbrezza dello Spirito anche ai sacerdoti. Questo è successo in una sala della basilica nazionale del Brasile N.S.Aparecida durante le ferie. 

Il tempo di ferie è anche tempo di Dio per i costruttori del suo regno, tempo per rifarsi, per ricaricarsi, per aggiornarsi, per riempirsi nuovamente i polmoni di aria pura, della forza di Dio. Così come i sommozzatori, professionisti o dilettanti, sono obbligati a ritornare in superficie, anche gli operai della vigna divina hanno il diritto e il dovere del riposo, della ricarica, del rinnovamento. 

Così, ora, dopo le ferie, sono pronto per immergermi di nuovo, per lavorare altri quattro mesi nel Seminario. Ma mi ricorderò per molto tempo della settimana di esercizi spirituali fatti ad Aparecida do Norte.

S. Agostino, commentando il salmo 133/132, riferendosi alla rugiada dell'Hermon, dice che l'unione dei fratelli viene dal cielo: così è stato in questo incontro. Eravamo in numero di duecentocinquanta tra vescovi, sacerdoti e seminaristi, alti e bassi, giovani e anziani, barbe giovanili o capelli bianchi, dal Nord e dal Sud di questo grande Brasile (quattromila chilometri di viaggio i più lontani). Arrivati dopo un viaggio di 5 giorni di omnibus o una spesa considerevole di aereo, con gli accenti più svariati, ma sospinti dall'invito di Cristo, hanno lasciato la Polonia o il Perù, la Colombia o l'Italia (quanti italiani ho incontrato!), l'Ungheria o l'Olanda, gli Stati Uniti o l'Irlanda, la Spagna o il Portogallo. Sono religiosi con i carismi più diversi: gesuiti o redentoristi, scolopi o maristi, francescani di tutte le sigle, agostiniani calzati o recolletti o scalzi, con gli impegni e l'esperienze più svariate. Mi viene quasi la tentazione di citare gli Atti degli Apostoli: c'erano greci e giudei, romani e abitanti della Fenicia, e tutti proclamavano le meraviglie di Dio. 

L'argomento base degli esercizi spirituali, dettato da due professori di teologia, è stato: «La missione di Cristo e la missione dei Cristiani, nel Vangelo di San Matteo». Sono state delle meditazioni pregate, vissute, povere; ma si vedeva, giorno dopo giorno, come la grazia lavorasse nei cuori, purificando in ciascuno di noi l'immagine di Dio, l'alter Christus, offuscato dal materialismo, dalle occupazioni, dalla stanchezza. Quanti predicatori famosi, quanti autori di libri, quanti sacerdoti‑ giornalisti stavano facendo gli esercizi spirituali con grande umiltà! 

Nel viaggio di ritorno, per caso sta seduto al mio lato un sacerdote già avanzato negli anni, professore di teologia e scrittore, il quale mi ha comunicato che, nei suoi quarantadue anni di sacerdozio, mai un corso di esercizi spirituali gli era piaciuto come questa volta. In tre ore e più di viaggio, solo due volte ho avuto l'opportunità di dire la mia, tanto era il suo fervore e il suo sapere, forse perché assuefatto al monologo cattedratico.

Giorno per giorno sentivo, durante gli esercizi, che si rinnovava il mio amore per Gesù, riconoscevo il potere del suo nome e me ne appropriavo. Ma non dovevo essere il solo perché, in quella concelebrazione eucaristica nella nuova basilica di cui parlavo all'inizio, all'affermazione del Vescovo, durante l'omelia, della presenza di Cristo in mezzo a noi, scoppiò uno scroscio di applausi tanto intenso che qualsiasi applausometro avrebbe segnato il massimo. Ma gli applausi non erano per il vescovo o per i vescovi concelebranti e i sacerdoti, no!... erano per Gesù. E quando, dopo istanti inconsuetamente lunghi, gli applausi stavano diminuendo, altre voci hanno intonato, secondo una liturgia tutta brasiliana: «Uno, due, tre, Gesù è il nostro Re, Re, Re, Re!». Adesso è tutta l'assemblea che gridava, accompagnata dal forte ritmo della batteria e dai bassi delle chitarre elettriche. Il vescovo certamente aveva dimenticato il suo invito alla sobrietà, perché, col volto radiante, pure lui accompagnava il coro battendo le mani. 

Certo forse nessun Padre conciliare o artista del rinnovamento liturgico avrebbe mai immaginato tanto; d'altra parte nessun maestro o regista avrebbe potuto realizzare un atto penitenziale accompagnato dal canto del «Kyrie eleyson» così all’unisono e, nello stesso tempo, variegato e così guidato dallo Spirito. In quel momento i brividi mi scendevano lungo il corpo e dicevo: Signore, costruiamo qui tre tende... 

Signore, grazie di vivere nella tua Chiesa, in questa Chiesa, in questi tempi; grazie per avermi scelto come tuo apostolo, con la missione di formarne altri. Sono pronto, Signore, per tuffarmi di nuovo, per immergermi nel mondo, nel lavoro, perchè non sono più io che respiro, ma sei tu che respiri in me. Ricomincio nel tuo nome, Signore.

Mercoledì 17 marzo 2021