TEMPI SCORDATI

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***
-Cosa fa lei, nella vita?
-Faccio fatica.
-Ma di cosa si occupa, mi scusi?
-Mi occupo e basta. Come il posto libero, a teatro. E osservo. E ascolto. Emetto, talvolta.

Milena Antonucci

Milena Antonucci
Genova, 01/06/1979. Diploma di maturità classica, Liceo Statale Andrea D'Oria; 4 Diplomi di lingua inglese (livello Upper-Intermediate) riconosciuti dal British Council; Università degli Studi di Padova, Laurea Quadriennale in Lettere e Filosofia, 108/110 con tesi: “Per farla finita con il suicidato della società: la figurazione della tortura in Antonin Artaud”; esperienza (2001-2005) al Tam Teatromusica di Padova come performer; autrice del poema in versi Parco di Luna; docente del corso Voce d'ascolto presso Satura Associazione Culturale, autrice per l'omonima Rivista; incarichi ricevuti da vari editori per la traduzione di testi letterari dall'inglese all'italiano. Degna di nota la cotraduzione dell'antologia musicale contemporanea Sound Unbound, a cura di Paul D. Miller aka DJ Spooky That Subliminal Kid ed edita da Arcana Edizioni.

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Dic 14

TEMPI SCORDATI

come sopravvivere alla scollatura sociale ed emotiva, l'unica scollatura che di sensuale non ha nulla

di Milena Antonucci

Fabrizio Nuovibri, "Equi-librati"

L'equilibrio non è una conquista, una volta per tutte. Un arrivo.

L'equilibrio vive e si testa continuamente nel movimento. Se questo manca, il movimento dico, si ha piuttosto una cancrena. O un volo nell'abisso.

Credo si sia caduti in molti dalla corda del funambolo, e si sia precipitati nel vuoto. L'horror vacui giunge in nostro soccorso come unica necessità. Non si comunica più, a meno che non la si pensi nello stesso modo. La libertà di pensiero e di espressione s'è fatta tabù, bestemmia, motivo d'ignominia.

Le due fazioni si sputano addosso reciproche violenze, accusando sempre quegli altri di essere i violenti. Sia da una parte che dall'altra. Così avviene che, in questa lotta incivile, a nessuno più importi, nessuno - o quasi- più riesca a vedere la preoccupante scollatura umana, l'atroce distacco, con giudizi sprecati e crudeli, da entrambe le parti. Non che si debba sempre andare d'accordo. Ma, una volta almeno, se ci si ammalava ci si preoccupava della salute del malato, gli si augurava una pronta guarigione, insomma il malato non veniva accusato d'essersi ammalato, di esserselo meritato o di avere avuto fortuna a non degenerare in brutte complicazioni, intubazioni, decesso. 

De cesso. Dalla nostra tazza quotidiana, l'unica certezza dovrebbe essere quella che, prima o poi, tutti si va a morire. In questo, non ci sono sconti per nessuno. Però, finché si vive, finché si è vivi, si dovrebbe avere il sacrosanto diritto di poterlo fare più serenamente possibile.

La nostra globalizzata società, il nostro forsennato muoversi senza scopo se non quello di rincorrere la macchina della produttività, già da anni ci aveva garantito una marcata lontananza dalla serenità, in nome del profitto (quasi sempre manco nostro), in nome del consumo di beni né naturali né necessari (con una vergognosa produzione di rifiuti), in nome, infine, di una manciata di vite inutili, per sé, per i propri cari, per la collettività. 

Continua a salvare -e ad unire, in parte- l'arte, il sentire uno scopo nobile, il volerlo tradurre in bellezza e condivisione, ma la condivisione, l'aggregazione s'è macchiata della possibilità del contagio, per cui si rifugge da contesti che possano favorirla, e probabilmente, in molti casi, è stata repressa, la si è applicata, a volte con scarsi risultati, all'interno delle mura domestiche. In un ambiente "protetto".

Immaginniamo un altro scenario, meno felice. Un ambiente domestico ostile, in cui la protezione di cui sopra è saltata come una bomba, frantumando tutto. O pensiamo alle due fazioni che si trovano a convivere nello stesso ambiente, entro le stesse maledette quattro mura. Oppure, ancora, immaginiamo un ambiente domestico precario, già, minacciato nella sua stessa essenza, per questioni di impossibilità economiche. Abbiamo già assistito ad un'impennata nelle forniture di quello che dovrebbe essere un diritto pressoché popolare, quello di scaldarsi, utilizzare il gas per cucinarsi del cibo, usare infine la corrente elettrica, fattasi ormai indispensabile per tutta una serie di conduzioni domestiche. Se già negli scorsi anni cominciava a farsi sempre più frequente una sincera difficoltà nel fronteggiare le sempre più numerose e sostanziose spese, adesso il problema ha toccato vette che non riuscirebbe a scalare nemmeno il più ostinato alpinista. 

Che fare?

Sicuramente si fa poco, così arrabbiati con gli altri, così accusanti. Così divisi. Così soli.

Ci vuole qualcosa di talmente forte da ridurre la distanza, in grado di riavvicinare quello che sembra ormai insormontabilmente lontano. 

Che cosa, ora chiedo, ha creato questo distacco? Lo sappiamo, vero?

La paura della morte. Il terrore, oserei dire.

E se, d'ora in avanti, ci concentrassimo completamente sulla gioia di vivere, su tutte le espressioni di vita di cui l'essere umano è capace, finché è vivo?

Scordiamo la paura, prendiamo un'accetta e accettiamola, facendo saltare corde scordate e carcassa, demoliamo questo strumento dannoso.

Accordiamoci, riequilibriamoci. Ricominciando a muovere i passi, prima che il tempo passi del tutto.

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