Genova | Massimo Gaviglio per noi
L'esordio a Milano dei Cabarettisti Genovesi accanto ad Abatantuono
di Aldo Carpineti
4^ puntata
Passare le serate, specie quelle del fine settimana, a fare spettacolo, intrattenere i nostri spettatori nei nostri soliti posti che poi erano cave più o meno improvvisate, retrobar, per lo più, non ci bastava molto; sì diciamolo pure.
Genova, lo sappiamo, offre quello che può offrire, da sempre. Fin troppo, unica, nel bene e nel male, eccezionale però. Ma gli artisti scalpitano, non li si frena, devono andare.
Così nelle nostre notti fatte di ore piccole, facendo dannare le mamme, sempre in pensiero, e trascurando le fidanzate che ci attendevano invano, parlavamo tra noi, di sogni e speranze lontane. Milano era come un po una chimera, sì era già un’altra cosa. Sfornava i primi cabarettisti, se ne captava l’eco, la sensazione… i Gufi, Cochi e Renato, tantissimi altri che si affacciavano nel panorama. Uscivano fuori da un piccolo locale che sarebbe diventato famoso: lo storico Derby. Mitico, il primo. Ci passavano le serate, soprattutto quelli nati lì, sul posto, e nei dintorni; beati loro che uscivano di casa e, dietro l’angolo, avevano ben altro palcoscenico, un’altra ribalta a confronto dei nostri baretti.
Così un piccolo gruppetto di noi – c‘ero anch’io, che già a vent’anni, nonostante, ero un po restio ad allontanarmi troppo dal profumo del mare – decise di andare a scoprire questo famoso Derby di Milano. Arrivammo non proprio alla stessa maniera di Totò e Peppino, in quell’indimenticabile loro film, ma quasi; dopo aver girato, in macchina, un po a vuoto per la città, riuscimmo finalmente a trovarlo. Eravamo Rio, il Conte Cocuzza, Tony Speranza (portato più per scaramanzia che per altro, perché… finché c’è Tony c’è… Speranza – pensavamo).
Ci accolsero con cordialità, ci misero a nostro agio subito. E ci fecero esibire quella sera stessa. Da non crederci. Avevamo messo piede nel Tempio del Cabaret. E ce la cavammo anche, tutti quanti abbastanza bene. Qualche pacca sulla spalla, qualche complimento. Non c’era molto pubblico ma fra gli addetti ai lavori c’era anche Diego Abatantuono. Scambiai con lui, avendolo proprio a fianco, vicino, qualche parola. Era un ragazzo piuttosto scanzonato, alla mano. Un po più giovane di me ed indicandomela mi disse: Vedi quella è mia mamma, è addetta al guardaroba. Ah, bene – gli risposi – così non paghi quando riponi il cappotto… - penso – da buon genovese. Ci facemmo gli auguri reciproci. Anche lui, non tutti sanno, ha fatto la sua discreta gavetta prima di sfondare, come tanti altri, più o meno. Noi però, i Genovesi, non è che eravamo arrivati così facile facile – alla meta. Eravamo, pur sempre un po foresti nel loro regno E poi c’era il solito gravoso problema di trattare di palanche con i gestori, di un po di rimborso spese almeno, anche un po di… cachet. , possibilmente. Arrovellandoci, altro che mal di testa – ahimé – quando ci sono di mezzo i soldi tutto diventa un po vago e sfuggente. Tutto il mondo è paese.
Milano però non è stata affatto matrigna, negli anni successivi con i genovesi. Antonio Ricci, ligure di Albenga, ha trovato la sua dimensione alla Fininvest, poi diventata Mediaset ideando parecchi programmi per le reti del Cavaliere, e continua tuttora, coadiuvato da tanti collaboratori, anche genovesi. E poi anche Enrico Braschi, il famoso paninaro, Carlo Pistarino, ex autista Amt, che dalla sua esperienza di guida trasse i più esilaranti aneddoti, Franco & Mimmo che – dopo 20 anni di dura gavetta – anche loro – animatori nei villaggi turistici principalmente, sono entrati a far parte come coautori di Striscia la Notizia su Italia 1 negli anni 90,
Alcuni hanno sfondato presto, altri ci hanno messo un po di più, alcuni hanno sudato – proprio – le sette camicie. Come in quasi tutti i campi della vita ci vogliono parecchie capacità determinazioni e… fortuna. Ed il mondo dello spettacolo non è proprio un gioco, anche se lo sembra.
Pigiamino, contnua
Domenica 18 ottobre 2015