Cosa pensava in realtà aldo moro del comunismo
Da troppo tempo si è gettato fango su uno dei più grandi politici italiani, quale fu Aldo Moro, vero martire della democrazia
di Gianluca Valpondi
Per sfatare il mito imbecille di «Moro cattocomunista», sarebbe quasi ora di smontare, pezzo per pezzo, la leggenda nera del "compromesso storico” tra Dc e comunisti di cui Aldo Moro sarebbe stato fautore principale in campo cattolico. Già parlare di “convergenze parallele” aiuta, ma certo non basta a far comprendere il radicale e totale rigetto del comunismo da parte di Moro, che ha costantemente voluto porre la Democrazia Cristiana come baluardo e presidio insostituibile e irrinunciabile a difesa e promozione della democrazia in Italia contro la minaccia totalitaria dell’ideologia comunista. Si trattava piuttosto di svuotare dall’interno il Partito Comunista della sua carica ideologica nefasta, immettendolo a forza nelle logiche democratiche di rispetto totale e integrale della persona umana nella sua dignità infinita e intangibile, perché ne rimanessero superstiti e vivi e facessero frutto solo e soltanto gli eventuali semi del Verbo nelle persone di buona volontà. È profondamente sleale liquidare come “cattocomunista” colui che invece fu profeta dell’antifascismo e dell’anticomunismo, il martire vero della democrazia vera, ammazzato dalla feccia mafiosa rossonera (non milanista, ma massonica). Un autentico costruttore di pace non poteva che andare di traverso ai nemici della pace, e a quel Nemico ucciso dal Dio crocifisso, titolo del libro di Moltmann che, ci racconta suo figlio, papà Aldo aveva in mano la sera prima del rapimento. Ma facciamolo parlare e rivivere ancora, questo italiano libero e forte.
«L’alternativa comunista. La consapevolezza di questa fatale alternativa antidemocratica della Dc dovrebbe essere sempre presente in tutti nella vita politica italiana. Essa non esime certo la Dc dalle sue responsabilità, non la autorizza a commettere errori che debbano essere necessariamente perdonati, non giustifica nessun ricatto del nostro partito, come è stato da qualche parte malevolmente rilevato, compiacendosi che il ricatto, come si dice, non funzioni più. Ma neppure esime gli altri dalle loro responsabilità né li esonera dal riscontrare quel che la Dc significa e rappresenta nel porsi come alternativa alla incombente minaccia totalitaria del comunismo. Certe resistenze, certe riserve, certi dinieghi di collaborazione nei confronti della Dc, certi comodi affidamenti a essa perché faccia da sé e si comprometta e si logori, sono espressioni della minore consapevolezza e della meno attenta considerazione di questa indissolubile connessione in forma di alternativa tra il Partito Comunista e la Dc. L’insofferenza nei confronti della Dc e della sua lunga opera di governo, una superficiale considerazione della realtà delle cose, un gioco tanto sottile quanto vano per riservarsi l’ultima parola, per giocare abilmente (oh ingenua pretesa!) non solo la Dc, ma anche il comunismo, per indicare una terza via, tutto questo porta a oscurare l’entità e gravità della minaccia totalitaria comunista. Si pensi a certe moderate, accomodanti reazioni – e reazioni, si noti, di ambienti insospettabili – di fronte ai prodromi, all’inizio e allo svolgimento della trasparente e grave operazione comunista in Sicilia. Si pensi a certe inconcepibili reazioni a operazione già avvenuta, a certe malcelate soddisfazioni, a certi sfoghi di oppositori, a certo linguaggio di rimprovero e di ammonimento nei confronti della Dc, come la ricerca di un alibi giustificativo per una tolleranza e una debolezza che possono essere esiziali per il Paese. Non occorreva poi altro che una distensione male intesa (e perciò tradita nel suo genuino accettabile significato) per aumentare le indulgenze e impegnare personalità persino borghesi e anticomuniste a delineare un volto del comunismo per noi inopinatamente nuovo. Eppur il comunismo non è cambiato né è diminuito il suo incombente pericolo. I sorridenti inviti, rinnovati e allargati nel gioco trasparente delle alleanze di comodo, sono ben modesta copertura della permanente minacciosa realtà del totalitarismo e dell’esclusivismo comunista» (Aldo Moro, Relazione al VII Congresso Nazionale Dc, Firenze, 1959).
Parole prive di ambiguità, che anzi troncano alla radice ogni tipo di ambiguità. Per Moro la democrazia fa tutt’uno con la dignità umana e l’ispirazione cristiana è per lui un surplus di garanzia indispensabile perché la democrazia sia veramente e sempre più profondamente umana, perché il Dio crocifisso rivela l’uomo a se stesso e gli indica la sua altissima, nobilissima e felicissima vocazione.
Sabato 7 luglio 2018