Genova | Crollo devastante del ponte lungo la A10

Ponte Morandi: Genova in lutto

Il viadotto Polcevera era oggetto di continua manutenzione ma forse andava demolito e ricostruito

di Gianluca Valpondi

Ponte Morandi crollato
Ponte Morandi crollato
Il camion si ferma sul ciglio del vuoto
Il camion si ferma sul ciglio del vuoto

Il crollo devastante del ponte Morandi ha lasciato tutti a bocca aperta e con uno sgomento nel cuore e subito il senso di vicinanza e solidarietà per le vittime e i loro famigliari si è fatto sentire da tutto il Paese. Vorrei per ora sorvolare sulle tante questioni tecniche legate a questo disastro, per concentrarmi su una riflessione più diciamo umanistico-esistenziale che possa essere di un qualche conforto a tutti noi, a cominciare da chi il dramma lo sta vivendo più da vicino. Un caro amico mi raccontava come lui su quel ponte ci sarebbe dovuto passare per tornare a casa proprio intorno al momento del crollo, se non si fosse dovuto fermare in farmacia per una commissione; proprio dal farmacista seppe la notizia sconcertante e tornò a casa per vie alternative prendendo anche delle strade contromano e, passando proprio sotto il tratto di ponte rimasto in piedi, si faceva il segno della croce e finalmente era a casa. Oggi parlare di morte sembra brutto e pare che la fatalità del vivere debba essere esorcizzata non pensandoci. Ma poi. Ma poi succedono ‘ste cose pazzesche, folli, robe senza senso. E sì che certe cose non dovrebbero mica succedere, i ponti mica dovrebbero cadere... eppure cadono, e la gente muore, e una volta passata quella soglia non si torna indietro. Certo che se ci sono delle responsabilità umane vanno stigmatizzate a tutta forza, quantomeno perché possibilmente non succeda più, perché la vita umana vale più di qualunque spesa per la sicurezza. Ma intanto i morti son morti e per loro la morte è stata una fatalità, non sono andati in guerra, non erano nel mirino della mafia, no. Attraversavano un ponte con la macchina, quel ponte che in tanti abbiamo attraversato chissà quante volte. Totò, se lo poteva permettere, ci scherzava sopra: “Oggi a te, domani a lui”. Ci scherzava con la morte, ma la morte è una cosa seria, mica uno scherzo. Forse uno non se ne accorge finché non le si para davanti e allora bisogna per forza affrontarla, anche se magari la si era sempre evitata prima; “ricordati che devi morire” dicevano i medievali, ma non per farci paura, no, per dirci che la morte è una porta, non una bara. Se Genova prega è per non far morire la speranza, e l’umana solidarietà è già un frutto di questa speranza che non muore. Così, di nuovo, ci si rialza, perché se il cemento armato non è eterno, lo è invece l’anima dell’uomo, di ogni uomo.

Martedì 14 agosto 2018