rapporti nella realtà lavoristica
Il coinvolgimento di sé in prima persona, non l'attesa di soluzioni altrui
di Aldo Carpineti
Il mondo del lavoro sta cambiando: è sotto gli occhi di tutti. E non soltanto sotto il profilo della difficoltà delle imprese ad investimenti strutturali di grande portata ed a lungo termine, che è dovuta al rapido evolvere della tecnologia che rende obsoleti presto impianti e macchinari; non soltanto sotto il profilo della crescente robotizzazione della produzione.
Anche, e soprattutto direi, dal punto di vista della mentalità che pervade oggi lo stesso mondo del lavoro. Certo è che si va verso relazioni fra datori e lavoratori che sono profondamente diverse da quelle del passato. Oggi chi lavora ha generalmente più libertà di un tempo e, insieme, meno tutele e garanzie. Si dice che questa situazione crea insicurezze e preoccupazioni nel guardare al domani, in particolare per chi ha famiglia o per chi una famiglia vorrebbe crearsi. Con conseguenze deleterie come la denatalità ed il calo demografico.
Giustissimo. Non c’è dubbio che sia così. Però chi ritiene che questo sia il problema e fa queste non contestabili osservazioni (e sostiene che i rapporti debbano avere altre solidità) perché non si fa imprenditore egli stesso e tratta i dipendenti così come ritiene giusto che sia? Perché rimanere dalla parte che aspetta e non da quella che agisce e si fa carico delle problematiche esistenti?
Oggi intraprendere non è difficile come un tempo. Ci sono forme societarie che permettono spese minime di partenza. Ci sono finanziamenti pubblici a fondo perduto e finanziamenti privati a tasso agevolato e persino a tasso zero. Le start up hanno aiuti sia economici sia gestionali. Chi ritiene di essere in grado di fare l’imprenditore ha agevolazioni reali da Enti che sono generalmente emanazioni delle Camere di Commercio ed hanno compiti istituzionali di favorire la imprenditorialità.
Chi vuole aprire una azienda e poi regolararsi secondo i propri corretti principi etici ha aperte le porte al proprio impegno personale, ed è certamente il benvenuto in ogni mercato. Altrimenti si dà da fare al meglio di sé nelle dinamiche complesse che lavorare oggi comporta.
Per altro verso, ci sono ormai imprenditori che si spogliano di quello che è uno degli elementi costitutivi dell’essere imprenditore: e cioè il rischio. Ci sono imprenditori che ribaltano il rischio sul lavoratore mettendosi al sicuro da ogni perdita; è una posizione non corretta che snatura gli stessi principi delle relazioni industriali. Il rischio fa parte delle prerogative dell’imprenditore, non può essere scaricato sul lavoratore facendo uso di ciò che i rapporti a partita Iva oggi permettono.
I contratti di lavoro sono, al giorno d'oggi, informati alla libertà nella definizione dei ruoli e delle modalità di rivestirli. Ma i principi del codice civile prevedono reciprocità che non possono essere disattese, pena il capovolgimento di ogni regola giuridica e logica.
Credo, in definitiva, che il problema sia, prima di ogni altra cosa, da affrontare da ciascuno in termini di assunzione di responsabilità. Non si possono pretendere modifiche allo status quo aspettandosele dagli altri, il coinvolgimento di se stessi in prima persona (anche in termini economici) rappresenta il più efficace dei rimedi. Secondo il mio punto di vista questa logica rappresenta la chiave di volta della situazione di impasse dalla quale non riusciamo a districarci.
Giovedì 1 agosto 2019