Genova | al teatro duse - recensione
Orsini, 85 anni portati a meraviglia, entra in questi rimbalzi di identità raccontando con malinconia mista ad humor la storia della decadenza fisica e mentale dell’amico Paul che altro non è che sè stesso
di Francesca Camponero
Andare a teatro è un rito. Di fronte ad un teatro avverti subito sensazioni contrastanti: non sai cosa ti aspetta una volta varcata la soglia, ma nel momento in cui ti ritrovi all’interno l’odore che percepisci ti inebria e ti porta in un’ altra dimensione. Il brusio della platea che cala quando si spengono le luci, poi il sipario che si apre, ed inizia la magia. Come non innamorarsi del teatro!
Ma il teatro è “Teatro” quando sulla scena gli attori riescono, scrutando le passioni umane, le gioie e i tormenti dell’animo dei personaggi, ad aprire un varco anche verso noi stessi, attraverso il quale ci guardiamo dall’interno e scopriamo le sfaccettature del nostro Io.
Questo è quanto accaduto ieri (martedì 19 novembre ore 20,30) al teatro Duse di Genova alla prima del Nipote di Wittgenstein, gran romanzo di Thomas Bernhard, che teatro non è ma mirabilmente lo diventa in uno spettacolo ben aldilà di uno spettacolo, grazie alla magistrale interpretazione di Umberto Orsini.
Lo spettacolo aveva debuttato nel 1992 e subito divenuto oggetto di culto. La magia della pièce consiste nel fatto che in questo romanzo in prima persona è Bernhard che parla di sè stesso senza il bisogno di nascondersi dietro un personaggio e lo fa raccontando la follia di Paul Wittgenstein, nipote supposto del filosofo e grande amico dello scrittore, che in lui si sdoppia sin dall' inizio, quando racconta di essersi ritrovato con l’amico in due padiglioni attigui dell’ospedale viennese.
Orsini, 85 anni portati a meraviglia, entra in questi rimbalzi di identità raccontando con malinconia mista ad humor la storia della decadenza fisica e mentale dell’amico Paul che altro non è che sè stesso, le cui giornate sono diventate sempre uguali e vuote. Con la maestria del grande attore riesce a navigare tra le onde di parole, confondendone la rincorsa infinita col proprio respiro, nel fluire della musica di un disco di musica classica che lo riporta ai ricordi delle serate passate con l’amico a teatro. Accanto a lui la compagna fedele e nello stesso tempo assilante nella preccupazione di tenere dentro la bambagia il fisico di lui corroso dalla tisi. Il poeta la guarda e sopporta, in fondo sa che lei, l’attrice muta ( Elisabetta Piccolomini), gli vuole bene ed è forse l’unica oramai rimasta ad essergli accanto e a sopportarlo. Il protagonista parla da solo, fiumi di parole, pensieri, ricordi, supposizioni, idee, un creare continuo che lascia il pubblico basito davanti a tanta intelligenza, conoscenza e consapevolezza del proprio mestriere, che altro non è davvero se non il miracolo del teatro, per esplodere solo alla fine in un interminabile applauso.
Orsini con questa sua intepretazione nel 2001 vinse il premio Ubu.
Lo spettacolo produzione della Compagnia Umberto Orsini con le scene di Jean Bauer e l’adattamento e regia di Patrick Guinand è in scena al Duse fino a domenica 24 novembre.
Mercoledì 20 novembre 2019