andrea silvio boero
In quest'articolo riporto alcuni scritti di critici d'Arte che hanno recensito l'opera di Andrea Silvio Boero e che sono in mio possesso, come il quadro che lo stesso Boero ha desiderato regalarmi in occasione delle mie nozze
di Maria Grazia Dapuzzo
Andrea Silvio Boeronato a Genova (1931 - 1987)
In quest'articolo riporto alcuni scritti di critici d'Arte che hanno recensito l'opera di Andrea Silvio Boero e che sono in mio possesso, come il quadro che lo stesso Boero ha desiderato regalarmi nel 1977 in occasione del mio matrimonio con mio marito Mario Ferrando. Andrea Silvio Boero era il marito di Lidia Bruzzone, cugina della mia mamma.
Nel 1968 Germano Beringheli presentava, presso la Galleria La Bertesca di Genova, la personale del pittore Andrea Silvio Boero con la seguente recensione: Isoliamo una piccola porzione della situazione visiva quale si manifesta in un «campo», in piena autonomia: l'effettivo punto di partenza della osservazione è la constatazione che processi organizzati modificano la forma nella estensione dello spazio. È uno di quei «processi in distribuzione» molto noti agli studiosi di psicologia della forma: entità isolate producono eventi estesi che si distribuiscono e si regolano come unità funzionali.
Una constatazione, il punto di partenza per una esperienza il cui scopo non è quello di prendere delle entità visive per se stesse ed analizzarle come oggetto della percezione ma piuttosto quello di osservare - attraverso una trasformazione costante ed attiva del processo vitale - la intensità delle possibilità di una forza trasformatrice profonda.
L'intero processo di crescita e di trasformazione della realtà posto dall'artista (continuiamo a chiamarlo così) come base dinamica della autotrasformazione in luogo di quella base casuale statica in cui ci aveva posto tanto simbolismo atemporale.
Un intervento dunque attivo nel processo vitale, svincolato dalle leggi della immutabilità e condotto al di là dello spazio rigido della realtà tridimensionale.
Una dichiarazione di stato d'animo, un modus operandi che ci assicura come la creazione di una struttura esteticamente efficace stà nella assimilazione di mille stimoli «ridotti» all'unità.
Una unità carica di inesauribile dinamismo. Quel dinamismo che nelle opere di Boero trova la propria trama attraverso il procedere costante e razionalmente graduato del colore verso la luce.
Un procedere, una estensione che, sviluppando ancora la propria essenza-presenza di «forma» sulla «categoria» di superficie piana, prende coscienza di quella operazione complessa e potente che è la variabilità, il sensibile emergere di una simultaneità spaziale la cui identità ritroviamo nel percorso della linea di colore che tende al centro del «campo».
E qui è necessaria una osservazione.
Nelle opere di Albers vediamo dei fasci di linee la cui identità muta col mutare dello spessore. Ma quelle linee hanno il compito di rappresentare una condizione di contrasto e di continua vibrazione in un rapporto di iterazione.
Nei lavori di Boero l'intera composizione si «fà» col farsi del percorso visivo che si sposta verso il centro. Nel centro l'occhio si scopre all'interno di una piramide tridimensionale di luce e la piramide di luce si proietta verso l'occhio. Si tratta di un capovolgimento virtuale del modello di prospettiva tridimensionale. Ma se il problema «nuovo» fosse questo dobbiamo dire che a questo avevano già provveduto in molti e «Interim» (1942) di Albers aveva definito ogni problema di questo tipo.
Quel che avviene nei quadri di Boero è cosa diversa dalle questioni sui «campi di energia».
Il colore-forma si dà intanto con diversa qualità; lo spessore delle linee di Albers è sostituito dal carico non della materia ma da quello del variare del tono, carico che muta col mutare del percorso su cui si distende.
La condizione definitiva, la situazione, è prospettica ma in realtà si tratta della espressione di un automovimento che coinvolge l'occhio e che all'occhio si ribalta per effetto del carico di energia luminosa che si produce nel campo.
«Dal bianco al giallo» mentre seguiamo da sinistra a destra già dubbiosi se sia ancora questo il senso del percorso o non, per caso, «dal giallo al bianco».
Un ribaltamento di osservazione, di lettura, una prospettiva rovesciata, come in «Due luci nere n. 48», dove due percorsi occupano contemporaneamente il proprio spazio.
Due unità spazialmente separate che si fondono in una. O quattro (o più) sempre in una.
È qui che si apre il problema di Boero: la riduzione all'unità attraverso la somma di parecchie unità. L'energia statica di un dato che vivendo si autotrasforma e che autotrasformandosi crea altri dati sino alla unità.
Una «presenza» saggiata razionalmente ed esplicata steticamente che irrompe nel tessuto concreto del processo vitale che ci coinvolge.
Due anni dopo nel 1970 Germano Beringheli, in occasione della personale di Andrea Silvio Boero presso la Galleria «Pourquoi Pas?» di Genova, scriveva: La fisionomia problematica della ricerca di Silvio Boero è stata analizzata in modo specifico in quanto totalità dinamica della luce che struttura se stessa nella materia pittorica.
L'osservazione aveva portato Boero a puntualizzare - attraverso le parcellarità componenti l'unità - le variazioni possibili prodotte, nel corso del farsi di questo fenomeno, dal colore nell'ambito del «campo» visivo e in uno svolgimento di percorso condotto razionalmente.
La luce - o meglio l'insieme delle sue possibilità espressive offerte alla coscienza dai processi di percezione - era stato, nelle opere di Boero, il risultato logico di una esperienza che aveva fatto i conti con colore, forze e forme orientati in quella che gli psicologi definiscono «spazialità di situazione».
In questo tipo di spazialità il senso più esplicito delle definizioni della ricerca di Boero punta ora alle distinzioni, all'esprimere altre possibilità di relazione nelle possibilità dello svolgimento tematico che è ancora quello della variabilità del percorso del colore nei suoi successivi momenti di iterazione e di accumulo di tensione.
Distingue i risultati nuovi lo spostamento del fine della ricerca che si può identificare con l'analisi del comportamento dei dati ottenuti nella spazialità di situazione nella intenzione di allargare il problema coinvolgendo le particolarità emergenti dalla dialettica che si instaura tra psicologia formale e logica.
I fenomeni della visualità vengono così saggiati in virtù di proprietà che sono altrettanto dinamiche quali quelle precedentemente emerse, ma certo più complesse.
Il «percorso» tono - colore - luce viene temattizzato meno schematicamente; i limiti del campo visivo appaiono allargati e la «organizzazione» tono - colore - luce investe una maggiore e più pregnante articolazione.
Essi cercano il proprio significato di strumento conoscitivo e rappresentativo della percezione luminosa nei collegamenti possibili entro il margine del quadro per istituzionalizzarsi in atto di un «vedere» la cui intenzione speculativa evita più di prima i coinvolgimenti dello stato d'animo.
Il fine di una operazione di questo tipo è quello di chiarire i legami fra l'oggetto pittorico nel «campo» e la sua realtà verificabile oltre le apparenze.
La stessa «esteticità» che ne deriva è di definizione concreta ma non fine a se stessa, risultando anzitutto manifestazione di una essenza non ambigua poichè idealmente corrisponde una necessità di verificare le variabilità di un contesto conoscitivo prima di assumerlo come testimonianza presente e definitiva.
Nel 1972 Aldo Passoni così presentava la personale di Boero alla Galleria Unimedia a Genova: Se la pittura di Albers ci propone continuamente una struttura-colore con interspazialità a livello concettuale, questi ultimi lavori di Silvio Andrea Boero procedono nell'ambito di una possibile sensibilizzazione della luce, variandola sulla dilatazione strutturale del colore, come aveva già visto Germano Beringheli presentandone l'opera.
La percezione cromatica e la percezione spaziale si sovrappongono, per l'energia che il centro luce-colore sprigiona dinamicamente.
Questo perchè i quadrati, sovrapposti a diverse intensità di luce e colore, creano uno spazio interno, accentuato dall'eccentricità dei quadrati stessi rispetto al supporto, sviluppando una dinamica in direzione ortogonale che dà una falsa percezione di fissità secondo un metodo già sperimentato da Duchamp e Vasarely. La proprietà visiva della configurazione, come viene descritta dai proprii confini spaziali, ingenera una relazione con la forma come configurazione di un contenuto nuovo, in questo caso di un'energia che si dilata oltre i confini del supporto; come un'emanazione ordinata dall'uomo, e quindi resa visibile, di un'energia cinetica naturale.
Nel 1974 per la mostra personale di Boero presso la Galleria d'Arte Mantra di Genova, sempre Germano Beringheli scriveva: Protagonista della pittura di Silvio A. Boero è la utilizzazione dinamica della materia, (tessera di colore, pigmento) che verte sull'analisi di un repertorio di termini significanti minimi e assoluti: lo spazio, la forma, la luce.
Attraverso una esperienza che ha coinvolto in una prima fase ampiamente documentata, la rilettura di alcune forme di neo-concretismo astratto di ascendenza sensibilistica, Boero ha continuato col proporre, per approfondimenti successivi, un discorso autonomo concretizzato in un insieme strutturato dal punto di vista della organizzazione spazio-temporale.
Una autonomia, preciso, che è possibile recuperare nelle tensioni permanenti del linguaggio visivo formale, logico e razionale, secondo la elaborazione di probabilità «intensive» del colore-luce determinante attraverso il calcolo addizionale o sottrattivo.
Tuttavia in virtù di una straordinaria e semplice chiarezza dell'operare - che esclute ogni ambiguità percettiva anche ora che vengono riscoperte le possibilità espressive di una esistenzialità gestuale - ogni suo quadro offre, attraverso la rarefazione estrema del gradiente luminoso, una tensione lirica permanente, una impressione cromatico-spaziale che si distende dall'interno della struttura a tutto il «campo» per attirarlo e sospenderlo per l'occhio in una segretissima chiarezza mentale.
Nel 1974 Ezia Gavazza scriveva: Con una ricerca che Boero, specie nei suoi ultimi anni di attività ha portato nella dimensione della materia luminosa piegandola a tante possibilità di struttura. Come combinazione di elementi cromatici in un crescendo di sovrapposizioni fino a dilatare la forma luminosa oltre i limiti della stessa possibilità di percezione sia emotiva che strutturale; come successione di piani di cromialuce in un ordine di linee ortogonali che accentuano la dilatazione o la comprimono secondo un processo di ambiguità visiva che non consente mai una fissità percettiva o comunque di acquisizione ottica. Specie nelle opere più recenti in cui la ricerca sembra stringersi attorno a un processo di conoscenza quasi fisica del rapporto luce-colore-struttura per cui la forma appare definita in entità di percezione più circoscritte, ma che in realtà mutano non appena il rapporto di acquisizioone sollecitato dai vari punti della genesi dinamica del processo costruttivo. Che può essere, nello stesso tempo, validità e limite di questo discorso tuttavia condotto con assoluto convincimento sul piano di una rigorosa e controllata sperimentazione.
Corrado Maltese scriveva dell'opera di Boero: Le variabili di un colore sono le variabili della luce ma la luce è impensabile senza lo spazio: il buio non è l'assenza della luce ma la distanza infinita dalla luce oppure il suo occultamento in forza di corpi che ingombrano il suo spazio di irradiazione.
Dunque sia un'ombra che una luce possono caricarsi indifferentemente dei valori di vuoto e di pieno, possono essere cavità o rilievi.
Perciò l'esplorazione segnica di Boero conduce fatalmente dall'esplorazione del colore all'esplorazione della forma-volume. Tunnel o piramide, vuoto o pieno, costituiscono l'ambiguità di fondo del segno, anzi del macrosegno di Boero, in assoluta obbedienza all'ambiguità di fondo dello spazio luce che esso rappresenta.
Una leggera rotazione del sistema con risultati a elica o a spirale, l'introduzione di una imprevedibile dissimetria non fanno che accrescere ed esasperare l'ambiguità.
Lungi dall'abbandonarsi all'utopia costruttivista, lungi dal credere di poter sintetizzare un nuovo linguaggio elaborando unità elementari significanti da comporre in un esperanto razionalista, Boero tesse i suoi viaggi nella luce-colore con infinita pazienza e con un odio e un amore altrettanto infiniti.
(Cliccando sulle foto s'ingrandiscono).
Lunedì 22 gennaio 2024