di Gianluca Valpondi
La recente uscita del volume di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio (2018), con la prefazione di Papa Francesco, mi pare un’ottima occasione per scrivere la parola “fine” alla futile opposizione reciprocamente squalificante tra “ratzingeriani” e “bergogliani”, sia per la prefazione di Papa Francesco che per la lettera inedita di Benedetto XVI, che prende gentilmente le distanze da certo “antibergoglianesimo” di Marcello Pera (et similia). Forse che più che opporre i cattolici ai liberali, occorre dare un’anima ai liberali, orientandone la libertà verso il realizzarsi nel dono di sé? Mi pare materia di seria riflessione, senza pretese di risposte precostituite, da una parte e dall’altra.
Se è senz’altro vero che le religioni, tutte le religioni, potrebbero lodevolmente unirsi per testimoniare e convincere la società, le istituzioni, gli stati, gli organismi internazionali che i diritti di Dio nulla tolgono, ma piuttosto confermano e consolidano e danno solido fondamento ai diritti umani, è altrettanto vero che in questa “operazione” di disvelamento del volto umano della religione il Cristianesimo è piuttosto evidentemente avvantaggiato e gioca, per così dire, in casa. Nella persona umano-divina di Gesù Cristo, infatti, i diritti dell’uomo e i diritti di Dio coincidono in modo mirabile. Il diritto umano più alto e più profondo è il diritto alla divinizzazione, a partecipare cioè alla natura divina. Per questo, penso, Del Noce definiva l’homo capax Dei il fondamento dello Stato di diritto. E il diritto fondamentale di Dio verso l’uomo è il diritto di divinizzare l’uomo, di renderlo cioè partecipe della sua natura divina. Tutto qua. Umanizzare l’uomo e il mondo significa rendere l’essere umano sempre più perfetto e l’uomo perfetto chi è se non Gesù Cristo? Mons. Crepaldi, esperto a livello internazionale di Dottrina Sociale della Chiesa, presentando con altri il volume del papa emerito in Senato, così si è espresso: “(…) Il libro ospita anche un inedito di Benedetto XVI sul tema dei diritti umani e del loro fondamento segnalando il pericolo che la moltiplicazione dei diritti porti con sé la distruzione dell’idea stessa di diritto, processo questo che credo sia evidente ai nostri giorni. I diritti umani appartengono all’uomo come soggetto di diritto, ma per la loro legittimazione presuppongono i doveri che derivano dall’ordine naturale finalisticamente inteso. In molti casi i diritti vengono invece assolutizzati e quindi infinitamente moltiplicati; ci si chiede, e se lo chiede papa Benedetto: perché avviene questo? La risposta del papa nel suo inedito è che il piano naturale non riesce a mantenersi tale e quindi raggiungere i suoi fini naturali senza il piano soprannaturale, senza riferimento al Creatore l’ordine naturale si indebolisce e poco a poco viene perso di vista; concezione questa che papa Francesco conferma nella sua prefazione; si fonda qui il ruolo pubblico della fede cattolica, che vanta la pretesa di onorare fino in fondo le esigenze naturali della persona e della società, in quanto religione dal volto umano e chiede che questo suo ruolo le venga riconosciuto anche dalla politica: si tratta di una richiesta esigente di libertà religiosa (...)”. L’ordine pubblico informato a giustizia secondo i dettami della legge morale naturale e universale, di cui parla la Dignitatis humanae, altro non è che questo ordine, che è un essere ordinati al vero, al bene, al massimo dell’umana perfezione, che è un essere Dio per partecipazione (cf. Giovanni della Croce).
Nella sua prefazione all’opera dell’emerito, papa Francesco in poche pennellate ci fa balenare la sua piena e profonda comprensione e sintonia col pensiero del grande teologo e pensatore tedesco, e dopo aver tratteggiato i lineamenti di una nuova disumana umanità prometeica, pone la famiglia come il baluardo ove l’obbedienza all’Amore resiste al totalitarismo dell’egolatria: «(…) a fianco di San Giovanni Paolo II egli elabora e propone una visione cristiana dei diritti umani capace di mettere in discussione a livello teorico e pratico la pretesa totalitaria dello Stato marxista e dell’ideologia atea sulla quale si fondava. Perché l’autentico contrasto tra marxismo e cristianesimo per Ratzinger non è certo dato dall’attenzione preferenziale del cristiano per i poveri: “Dobbiamo imparare – ancora una volta, non solo a livello teorico, ma nel modo di pensare e di agire – che accanto alla presenza reale di Gesù nella Chiesa e nel sacramento, esiste quell’altra presenza reale di Gesù nei più piccoli, nei calpestati di questo mondo, negli ultimi, nei quali egli vuole essere trovato da noi” scrive Ratzinger già negli anni Settanta con una profondità teologica e insieme immediata accessibilità che sono proprie del pastore autentico. E quel contrasto non è dato nemmeno, come egli sottolinea alla metà degli anni Ottanta, dalla mancanza nel Magistero della Chiesa del senso di equità e solidarietà; e, di conseguenza, “nella denuncia dello scandalo delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri – si tratti di disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri oppure di disuguaglianze tra ceti sociali nell’ambito dello stesso territorio nazionale - che non è più tollerato”. Il profondo contrasto, nota Ratzinger, è dato invece – e prima ancora che dalla pretesa marxista di collocare il cielo sulla terra, la redenzione dell’uomo nell’aldiquà – dalla differenza abissale che sussiste riguardo al come la redenzione debba avvenire: “La redenzione avviene per mezzo della liberazione da ogni dipendenza, oppure l’unica via che porta alla liberazione è la completa dipendenza dall’amore, dipendenza che sarebbe poi anche la vera libertà?”. E così, con un salto di trent’anni, egli ci accompagna alla comprensione del nostro presente, a testimonianza dell’immutata freschezza e vitalità del suo pensiero. Oggi infatti, più che mai, si ripropone la medesima tentazione del rifiuto di ogni dipendenza dall’amore che non sia l’amore dell’uomo per il proprio ego, per “l’io e le sue voglie”; e, di conseguenza, il pericolo della “colonizzazione” delle coscienze da parte di una ideologia che nega la certezza di fondo per cui l’uomo esiste come maschio e femmina ai quali è assegnato il compito della trasmissione della vita; quell’ideologia che arriva alla produzione pianificata e razionale di esseri umani e che – magari per qualche fine considerato “buono” – arriva a ritenere logico e lecito eliminare quello che non si considera più creato, donato, concepito e generato ma fatto da noi stessi. Questi apparenti “diritti” umani che sono tutti orientati all’autodistruzione dell’uomo – questo ci mostra con forza ed efficacia Joseph Ratzinger – hanno un unico comune denominatore che consiste in un’unica, grande negazione: la negazione della dipendenza dall’amore, la negazione che l’uomo è creatura di Dio, fatto amorevolmente da Lui a Sua immagine e a cui l’uomo anela come la cerva ai corsi d’acqua (Sal 41). Quando si nega questa dipendenza tra creatura e creatore, questa relazione d’amore, si rinuncia in fondo alla vera grandezza dell’uomo, al baluardo della sua libertà e dignità. Così la difesa dell’uomo e dell’umano contro le riduzioni ideologiche del potere passa oggi ancora una volta dal fissare l’obbedienza dell’uomo a Dio quale limite dell’obbedienza allo Stato. Raccogliere questa sfida, nel vero e proprio cambio d’epoca in cui oggi viviamo, significa difendere la famiglia. D’altronde già San Giovanni Paolo II aveva ben compreso la portata decisiva della questione: a ragione chiamato anche il “Papa della famiglia”, non a caso sottolineava che “l’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia” (Familiaris consortio, 86). E su questa linea anche io ho ribadito che “il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa” (Amoris laetitia, 31) (...)».
Il continuo ribadire, da parte di tanti, per lo più inascoltati e censurati, che i totalitarismi del secolo scorso non sono realmente finiti se non per assumere forme diverse e ancora semmai tentativamente più pervasive e meno circoscritte, ha avuto un’eco impressionante nella conclusione del discorso di Georg Ganswein (prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del papa emerito) a presentazione del libro di Ratzinger: «(…) Quando nella prefazione al volume papa Francesco sottolinea che questi testi, insieme all’ opera omnia del suo predecessore, cito, “possono aiutare tutti noi a comprendere il nostro presente e a trovare un solido orientamento per il futuro”, fine citazione, quasi spontaneamente mi sono venute in mente le incisive parole pronunciate dal papa emerito per la difesa del diritto naturale il 22 settembre 2011 di fronte ai parlamentari della repubblica federale tedesca riuniti nell’edificio del Reichstag, cioè del parlamento; con esse intendo concludere questo mio breve intervento, e cito: “ ^togli il diritto e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti^, ha sentenziato una volta sant’Agostino”, spiegava allora papa Benedetto ai parlamentari da insegnante docente quale è sempre stato, e proseguì: “noi tedeschi sappiamo per nostra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio; noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto, era diventato una banda di briganti molto ben organizzata che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio. Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. In un momento storico in cui l’uomo ha acquistato un potere finora inimmaginabile questo compito diventa particolarmente urgente; l’uomo è in grado di distruggere il mondo; può manipolare se stesso; può, per così dire, creare essere umani ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente? La richiesta del saggio re Salomone al Dio di Giacobbe ^concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male^ resta dunque decisiva per i compiti e le sfide che oggi i politici e la politica sono chiamati ad affrontare”, perché quel momento storico del quale il papa emerito parlò sei [sette?] anni fa a Berlino alla lunga non è ancora concluso».
Il problema per gli uomini non è riconoscere i diritti di Dio, ma è quando l’uomo si fa dio e impone il potere illimitato dell’uomo sull’uomo generando il totalitarismo. Chi ci salverà dall’uomo che si fa dio contro Dio, se non il Dio che si è fatto uomo per divinizzarci? Maria unica via, “e più non dimandare”.
Giovedì 19 luglio 2018
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