di Gianluca Valpondi
Padre Bartolomeo Sorge, indicato da papa Francesco come punto di riferimento importante per l’impegno dei laici in politica, pubblicò nel 1989, per l’editore Marietti, un famoso libro-intervista con Paolo Giuntella Uscire dal tempio, che vale penso la pena riprendere in mano. Alle pag. 138-139 il padre gesuita scrive: “Ho sempre tenuto presente la situazione atipica dell’Italia. Quindi, ho sempre storicizzato la mia riflessione. Altri Paesi, anche a forte presenza cattolica, hanno avuto vicissitudini storiche completamente diverse dalle nostre. Del resto, in Italia, la presenza della Chiesa da una parte, e di un movimento cattolico (non necessariamente clericale, anzi…) dall’altra, hanno avuto un peso determinante nelle vicende politiche del Paese e nella stessa collocazione dei partiti politici. Il valore della pace religiosa ispirò Palmiro Togliatti nel voto alla Costituente sull’articolo 7, come ha ispirato Bettino Craxi a farsi protagonista nella riforma del Concordato, qualche anno fa. Non c’è nessuno scandalo nel rilevare che la Costituzione italiana fa riferimento ai valori del personalismo cristiano, accettati anche dalle componenti liberali e marxiste del nostro Paese. Dunque, in una situazione come la nostra, il venir meno di una presenza laica di ispirazione cristiana in politica avrebbe potuto voler dire mettere in discussione la democrazia tout court. E l’Italia ha bisogno di una presenza politica cristianamente ispirata ancor oggi, quando si tratta di passare da una democrazia bloccata a una democrazia matura, non meno di ieri, quando si trattò di passare dalla dittatura alla libertà. Su questo giudizio concordano studiosi laici e marxisti. Dunque, la mia riflessione di quindici anni fa non partiva dall’ottica deduttiva degli integralisti, i quali pensano di dover derivare dalla fede un modello di società cristiana, senza le necessarie mediazioni, ritenendolo l’unico modello di Stato perfetto. Partivo piuttosto dalla storicizzazione di una presenza di cattolici in politica e dalla necessità del suo rinnovamento, dato che oggi quella presenza non può più certamente essere quella del 1948. Infatti, quarant’anni fa, di fronte al dramma di un’Italia democraticamente immatura, che usciva dal tunnel del fascismo e della guerra e che era chiamata a fare scelte di fondo irrevocabili, la Chiesa di fatto compì un’opera di «supplenza», come ai nostri giorni – per esempio – fa in Polonia e altrove, in situazioni di mancanza di libertà. Ma oggi, nel nostro Paese, dopo quarant’anni di vita democratica, un intervento della Chiesa nella politica italiana (con la p minuscola!) sarebbe interferenza. La Chiesa, invece, non potrà non fare Politica (con la P maiuscola), cioè non potrà mai chiudere la bocca di fronte a comportamenti, a programmi, a scelte che fossero contrari alla dignità dell’uomo, in contrasto con la legge morale, lesivi dei diritti fondamentali della persona e dei popoli. Per tutte queste ragioni, alla DC non resta che la strada di un coraggioso rinnovamento, per divenire un partito moderno, realizzando finalmente la intuizione sturziana, che finora nessuno mai è riuscito ad attuare pienamente: né lo stesso Sturzo né De Gasperi né Moro, ciascuno ovviamente per ragioni diverse” (Bartolomeo Sorge, “Uscire dal tempio”, Marietti, 1989, p. 138-139).
Queste parole di Sorge scritte trent’anni fa, mutatis mutandis, sono di grande interesse per l’attuale situazione italiana di democrazia bloccata. Bloccata nel sistema del sistema e dell’antisistema, arma di distrazione emotivizzante di massa che distoglie dai problemi veri e profondi, dalla fondamentale “questione antropologica”. Occorre un vero dia-logos per andare verso la pace sociale, civile, politica, e qui il ruolo dei cattolici, dei cristianamente ispirati, di tutte le persone di buona volontà diventa fondamentale per porre il logos, la ragione illuminata e luminosa, in mezzo.
Michele Dau, nella sua Introduzione al volume Governare per l’uomo (ed. Castelvecchi, 2016), una pregevolissima raccolta di scritti di Aldo Moro, ci aiuta a fare chiarezza. «(…) Rodinò prese la parola per chiedere “se è possibile sostituire alla parola ^uomo^ la parola ^cittadino^. In tal modo la dizione sarebbe la seguente: ^La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del cittadino, sia come uomo, sia come componente delle formazioni sociali^”. Moro replicò prontamente: “Non credo che si potrebbe – senza svisare in larga parte il significato dell’articolo – sostituire alla parola ^uomo^ la parola ^cittadino^. È vero che consideriamo l’uomo anche nelle sue manifestazioni di appartenenza alla società politica, ma l’intento specifico è quello di mettere in luce la complessa natura dell’uomo, la quale trova espressione nobilissima nelle manifestazioni politiche del cittadino, ma non si esaurisce in esse. Quindi pregherei Rodinò di voler aderire all’emendamento così come è stato formulato”. Si gettavano così le fondamenta di quello che sarebbe divenuto l’articolo 2 del testo finale, vera sintesi che afferma il primato dell’uomo, come persona singolare e nella sua dinamica vita relazionale, come titolare di diritti inviolabili, ma anche come soggetto tenuto all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. In questa complessa formulazione, in questo equilibrio di libertà e di responsabilità individuali e sociali c’è tutto Moro (...)».
Il “deputato Mario Rodinò”, scrive ancora Dau, è “esponente dell’Uomo Qualunque, una formazione politica populista comunque collocata nell’area di destra”. Mi viene in mente il M5S. Occorre sempre ben distinguere populismo e popolarismo, la differenza è tra una visione superficiale ed una profonda dell’uomo. Anche volendo ragionare “di pancia” e guardando al portafogli, è fondamentale avere una corretta concezione della persona umana per non andare incontro a più o meno tragici fallimenti.
«Di fronte agli immensi problemi della ricostruzione della società italiana, e al grande dibattito in corso fra economisti e politici in vari paesi, Moro esprime tutta la sua coscienza politica affermando poi che non “ci si chieda l’assurdo di risolvere i problemi economici con strumenti economici (che sarebbero condannati al fallimento) né che si veda nell’economia il termine ultimo, la ragion d’essere, il senso fondamentale dell’umanità”. È costante il suo richiamo allo ^spirito umano^ e a una “più alta e universale educazione […] per sanare le gravi piaghe dell’economia di questo popolo desolato del secolo ventesimo”. La nuova civiltà “dev’essere civiltà dell’uomo intero, dell’uomo della sapienza, della religione, della morale”.» (id.)
L’uomo intero è uomo religioso, naturalmente e soprannaturalmente religioso; l’uomo veramente umano è archetipizzato nell’umanità perfetta di Cristo, che rivela l’uomo all’uomo e gli indica la sua altissima vocazione e la sua infinita dignità. Le “cose” da amministrare vengono dopo le “persone” che le amministrano, è il primato dello spirito sulla materia, che dà ordine alla materia.
«Il tema cruciale della libertà della coscienza e della persona si viene così coniugando con quello della società, con la sfida della costruzione di un nuovo insieme sociale, in un contesto nel quale la politica dei partiti andava assumendo un controllo totale delle dinamiche collettive e delle scelte da compiere. “Chiediamo che l’uomo ritorni protagonista nella vita con una piena responsabilità […]. Noi riconosciamo la naturale socialità dell’uomo, la socialità come intrinseca alla sua spiritualità. […] Poiché la vita dell’uomo è naturalmente sociale per una inderogabile esigenza dello spirito, poiché, del resto, l’essere inserito in aggruppamenti umani e organismi politici è, in via di fatto, cosa inevitabile, occorre contenere l’azione di governo in quei limiti nei quali essa è veramente necessaria, controllarla […] lasciare che si svolgano libere soprattutto quelle attività che hanno carattere più squisitamente personale e che esprimono le mete veramente umane della vita individuale […]. Lasciamo dunque che l’uomo viva la sua vita nella società e per la società, ma che la viva in pieno, lui solo che non può essere sostituito in iniziative che hanno il segno inconfondibile della personalità. E lasciamo all’uomo, finalmente, il tempo, lo spazio, il modo per vivere questa vita personale che è la sola seria e ragionevole”». (id.)
E la persona umana così concepita, animale politico perché animale sociale, e sociale perché spirituale, e così tutelata e supportata e promossa sarà poi a sua volta la linfa vitale della vita politica, anche partitica, e governativa, in un circolo virtuoso che si alimenta in ultimo e in primis alla radice spirituale della persona umana, ove, nel sacrario della coscienza, l’uomo s’incontra col divino, anzi s’innesta nel divino che lo assume. Se vai al fondo dell’uomo trovi un Altro, anche se puoi far finta di no.
Continua Dau, citando Moro, «”Sono i partiti gli organi esclusivi di manifestazione dell’opinione pubblica o si pongono accanto ad altri, se mai con la sola superiorità della funzione di raccogliere tutte le voci piene di significato […] quando un Governo, sotto controllo parlamentare, si assume il compito di governare in libertà un paese libero e differenziato? A questo problema noi non esitiamo a dare la sola risposta che una mentalità veramente liberale possa accogliere. I partiti sono organi tra gli organi della opinione pubblica, quelli, se vogliamo, dalla funzione più decisiva e piena di responsabilità” (…) Moro chiedeva di “fare opera veramente liberale e temperare nel modo più naturale talune forme decisamente estremiste, e quindi dure […] della vita dei partiti”. E ancora affermava che “bisogna lasciare che accanto a essi si svolgano tutti gli enti che la libertà dell’uomo, rispondendo certo a naturali esigenze, è venuta creando”. Si esprimeva così chiaramente la visione essenziale del pluralismo sociale e politico capace di rappresentare la ricchezza di forme, di soggetti, di tradizioni della realtà italiana. E la politica avrebbe dovuto essere caratterizzata e temperata da questo pluralismo espressivo. “La politica ne verrà in conseguenza umanizzata”, concludeva Moro, “le sfere della socialità e della politica verranno a combaciare progressivamente con una tendenza a identificarsi e certo con vantaggio della prima, che riuscirà così a informare l’altra a criteri di umanità e di larghezza veramente liberale (…) Lo Stato se vuol essere realmente liberale e sociale, non può ridursi a Stato dei partiti soltanto, ma deve essere la comunità di tutti gli enti sociali che l’uomo ha creato, dalla famiglia al sindacato per una gamma infinita di esperienze tutte piene di significato umano (…) La politica è una grandissima cosa, se si inserisca armoniosamente in un quadro complesso di valori e prenda respiro e luce da tutti. Siamo stati perciò contro le esasperazioni provinciali e le politichette da corridoio, auspicando il serio dibattito delle idee, la signorile superiorità delle forme, il disinteresse pronto di chi è disposto a rinunziare e ad andarsene, per non accettare compromessi con la propria dignità morale”».
Se è vero, come è vero, che il Popolo della Famiglia, per un’evidenza anche molto laicamente “cazzulliana”, è un bel frutto del Vaticano II, di un laicato dunque seriamente impegnato ad evangelizzare, per umanizzare, anche la politica, è allora altrettanto vero che dobbiamo guardare a Moro come maestro ed esempio, in quanto egli ha incarnato magistralmente nella politica gli insegnamenti di quel Concilio. Non per niente non ci sarebbe molto da stupirsi se la P2 lo avesse voluto morto: i nemici dell’uomo sono i nemici di Cristo, e viceversa. Prendendo il testimone anche di Moro, il Popolo della Famiglia ha precisamente la qualità di portare la società civile col suo nucleo fondante e cellula-base, ovvero la famiglia naturale di cui parla la Costituzione, al centro dell’attenzione politica, il che significa di fatto mettere al centro della politica l’uomo per quello che è, per fare una politica al servizio dell’uomo e non che asservisca l’uomo.
Domenica 9 settembre 2018
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