Capitolo VII

Un amore maturo

In una laboriosa provincia lucchese si svolge la trama di questo romanzo breve, che vede in scena diversi personaggi protagonisti in diversi ruoli ma amalgamati in una comune ambientazione caratterizzata dagli stretti rapporti di affetto e dal lavoro. Le tematiche aziendali e della scuola ritornano qui come tipiche del vissuto di Aldo Carpineti, che non rinuncia a traghettare nei propri scritti esperienze attuali e passate della propria vita. Romanzo di costume anche questo informato alla quotidianità ed alle relazioni fra le persone, spesso complicate dalle vicende di questo o quell’altro personaggio ma redirette poi ad un lieto fine generale. Il mondo di oggi, le tensioni di chi lo vive nella varietà delle situazioni che offre pur nella tradizione di un’etica di fondo che non abbandona mai lo svilupparsi del racconto.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

Newsletter

Set 25

Capitolo VII

Capitolo Settimo

di Aldo Carpineti

capitolo vii

Un martedì a mezzogiorno Agata si fece viva in trattoria. Come vide Ezio, senza preamboli gli disse: “E’ partito ieri. L’ho accompagnato all’aeroporto, era furente con me, ma è andato. So che a Manchester ha già preso possesso dell’appartamento che gli ha messo a disposizione la società, perché questa mattina mi ha telefonato brevemente mentre facevo lezione; l’ho percepito un po’ più tranquillo ma sempre contrariato, spero possa trovare la calma per affrontare il suo lavoro con la necessaria concentrazione”. “E lei, invece, è serena?” “Sono convinta di aver fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità; gli ho detto che ci terremo in comunicazione, ci vedremo anche, il tempo ci porterà a scegliere la strada migliore per entrambi”. “Mi pare che lei si sia comportata ragionevolmente. Andrà a trovarlo?” “Sì, non subito, aspetto che lui si sistemi sotto tutti i punti di vista, che raggiunga un equilibrio in azienda e fuori, io intanto devo affrontare l’ultimo periodo a scuola e gli esami di maturità a Pisa; dopo se ne parlerà, c’è tempo. Questa estate potrò raggiungerlo, passeremo un periodo insieme, ma con il nuovo anno scolastico sarò di nuovo qui; per il momento la vedo in questi termini, mi pare di essere stata chiara con lui ed onesta con me stessa”. “Anch’io sono convinto che lei l’abbia pensata per il meglio; il primo periodo di lontananza servirà a chiarire i vostri reali sentimenti, poi vedrete con migliore chiarezza dentro voi stessi. Ora mi deve scusare, oggi sono senza il mio cuoco e devo fare tutto da solo. Mi faccia chiamare a fine pranzo, prenderemo il caffè insieme”.

La trattoria era piena di gente come al solito, qualcuno aspettava in piedi il proprio turno. Una quindicina di tavoli massicci fra dentro e fuori, sedie e mobili di legno intarsiato, una bella vetrinetta a mosaici colorati alla parete sinistra, una madia ‘800 su quella opposta, l’atmosfera piuttosto rustica, quadri di caccia e scene di vita agreste, una dedica di Puccini che era passato di lì durante una scorribanda con gli amici; il tutto non impediva di servire anche il pesce, sempre insieme a piccole quantità di insalatine fresche, in ampi piatti di forma e colori sfumati appropriati, senza che sembrasse stonato con l’ambiente. La clientela era soprattutto locale, ma non mancava chi veniva da fuori, seguendo i suggerimenti di chi già conosceva la cucina o per la fama risaputa o anche perché i turisti in giro per la città passavano quasi senza eccezione da quelle parti, tra il monumento ad Ilaria del Carretto, San Michele e la via Fillungo: era facile capitare in zona da ogni ingresso delle mura, ma chi arrivava da porta Elisa o dalla stazione ferroviaria se la trovava proprio dinnanzi.

Bevvero lentamente il loro caffè e, con una amichevole stretta di mano, si salutarono.

Ma il giorno dopo Agata era ancora lì, a mezzogiorno, questa volta accompagnata da una donna che sembrava di qualche anno più giovane di lei: “E’ una mia collega, insegna Arte – la presentò - gli allievi dicono che è molto severa ma è una pasta di ragazza”. L’altra si allargò in un sorriso anche un po’ imbarazzato: “Non sono severa, ma credo che dai giovani si debba pretendere, e poi non voglio che la mia materia sia presa sottogamba: la storia dell’arte, in un liceo classico deve avere la considerazione che le spetta; e invece spesso è la cenerentola. Non si possono comprendere materie come filosofia e letteratura senza conoscere le vicende artistiche del rinascimento, il verismo, l’impressionismo. Lei non è d’accordo?” “Certo che lo sono, io ho interesse soprattutto per la storia, ma mi rendo conto che uno studio comparato sia indispensabile”. “Si è mai accorto dei parallelismi tra la pittura degli impressionisti e la musica di Debussy? – proseguì la donna - utilizzando forme d’arte diverse gli uni e l’altro sono arrivati a trasmettere emozioni parallele; nello stesso tempo, fatta propria la lezione dell’Illuminismo, la filosofia ha conosciuto le teorie relativistiche di Adorno e dei francofortesi per giungere, attraverso formule matematiche, alla relatività enunciata da Einstein”. “Volete, mangiare oltre a fare della conversazione?” “Mangiare e bere – si inserì Agata - ci porti due risotti coi funghi e poi porcini fritti in abbondanza, ben salati; ne avete già? siamo venute apposta”. “Sicuro, non sono quelli dei boschi lucchesi, vengono dall’est dell’Europa, ma hanno lo stesso sapore di quelli di qui. Il solito Chianti?” “Le pare ci possano essere dubbi?”

Ezio si rivolse ancora all’amica di Agata: “Le posso chiedere il suo nome?” “Maritza” “Un nome inusuale” “E’ quello di un fiume bulgaro. I miei antenati venivano dalla Bulgaria, si sono trasferiti qui ai primi del ‘900” “Proprio quando gli italiani invece se ne andavano via in cerca di fortuna”. “Già ma i miei avi erano nomadi; poi decisero di fermarsi da queste parti perché si trovarono bene. Quando la tribù si allontanò loro rimasero” “E si integrarono ottimamente, a quanto pare, se lei è diventata insegnante di Arte. Ha anche un cognome balcanico? “Certo, mi chiamo Nabukov, ma sono rimasta l’unica discendente dell’albero genealogico, così il cognome si estinguerà con me”. “Non l’ho mai vista all’ippodromo con Agata, a lei non piace il trotto?” “Non ci ho mai pensato, non è fra le mie abitudini” “E che cosa le piace fare?” “Andare in montagna; di questa stagione comincio a girare per le Alpi Apuane” “Mai stata a Colonnata? se lo gradisce le posso servire del lardo doc” “Un’altra volta, questi funghi sono già abbondantissimi”. “Probabilmente vengono dalle sue terre”. “Dove scorre la Maritza? guarda a volte le combinazioni della vita….” “Ma lei ci è tornata in Bulgaria?” “Si un paio di volte, la prima da bambina e la seconda a ventinove anni, è sempre un piacere…. le consiglio di andarci, la troverà bellissima; qui nessuno sa quanto bella sia… Sòfia è una città stupenda”. E la donna si illuminò di nuovo in un largo sorriso.

Quando Maritza sorrideva mostrava un’espressione che non poteva essere italica: le labbra e gli zigomi pronunciati, messi ancora più in evidenza da una vivace capigliatura biondo cenere, erano tipici di un volto dell’est europeo; pur essendosi i nonni e suo padre incrociati con persone di qui, le sue origini rimanevano inconfondibili.

“E che altro fa, oltre che insegnare e andare per i monti?” “Scrivo poesie” “Mai pensato di fare la poetessa professionista?” Maritza sorrise ancora: “Carmina non ferunt panem… lo sapevano già i latini”.

“Scrivi anche nella tua lingua di origine?” intervenne Agata “No, purtroppo no, conosco un poco la lingua dei miei antenati, ma non tanto da scrivere versi, e me ne dispiace. Beh - cambiò tono la donna - mi pare che ormai mi conosciate abbastanza o andrà a finire che scoprirete cose che non racconto neanche a me stessa….” e questa volta emise dalla gola una risata acuta e prolungata.

© Riproduzione riservata

615 visualizzazioni

Commenti
Lascia un commento

Nome:

Indirizzo email:

Sito web:

Il tuo indirizzo email è richiesto ma non verrà reso pubblico.

Commento: