Capitolo XVIII

Un amore maturo

In una laboriosa provincia lucchese si svolge la trama di questo romanzo breve, che vede in scena diversi personaggi protagonisti in diversi ruoli ma amalgamati in una comune ambientazione caratterizzata dagli stretti rapporti di affetto e dal lavoro. Le tematiche aziendali e della scuola ritornano qui come tipiche del vissuto di Aldo Carpineti, che non rinuncia a traghettare nei propri scritti esperienze attuali e passate della propria vita. Romanzo di costume anche questo informato alla quotidianità ed alle relazioni fra le persone, spesso complicate dalle vicende di questo o quell’altro personaggio ma redirette poi ad un lieto fine generale. Il mondo di oggi, le tensioni di chi lo vive nella varietà delle situazioni che offre pur nella tradizione di un’etica di fondo che non abbandona mai lo svilupparsi del racconto.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Ott 6

Capitolo XVIII

Capitolo Diciottesimo

di Aldo Carpineti

capitolo xviii

Ezio lasciò passare una settimana dopo la impensata conclusione della gita in montagna, poi chiamò Maritza al cellulare: “Sono fatta così – gli disse lei – non domandarmi tante spiegazioni; non piaccio neanche a me, ma non so essere diversa, sono spontanea sia nel manifestare me stessa con dolcezza sia negli atteggiamenti meno gradevoli del mio carattere. Capisco che a volte posso risultare antipatica ma questa sono io, e non riesco ad essere altrimenti. Più di una persona ha rotto con me, per queste mie maniere, ma non riesco a modificarmi e neppure mi pongo più il problema di farlo: chi mi vuole frequentare sa come sono fatta e si regola di conseguenza. Bisogna prendermi tutta intera o non farne nulla. Ti chiedo scusa se posso esserti apparsa scortese, più di una volta, ma non ti prometto di cambiare. Ora credo sia il caso di non parlarne più, Ezio, se vuoi essermi amico non chiedermi un comportamento diverso da questo”. “Terrò presente, Maritza, d’ora in avanti so a cosa posso andare incontro e ti prenderò con le molle. Non intendo rinunciare alla tua amicizia, però devi sapere che anch’io sono capace di essere qualcosa di diverso da un cherubino. Non è una dichiarazione di guerra, al contrario, è una risposta onesta ai presupposti che poni”. La conversazione telefonica si concluse così, piuttosto ruvidamente.

La giovane insegnante si sedette, due giorni dopo, ad un tavolino interno della trattoria di Ezio. “Salve - fece lui entrando in sala dalla cucina – sono contento e sorpreso di trovarti qui. Dimmi come posso servirti”. “Portami una bistecca non troppo grande e cotta al punto giusto, con tanta insalata mista e un limone intero”. Ezio cercò di ricomporre una conversazione interrotta irragionevolmente per telefono: “Non è la prima volta che ti vedo consumare una alimentazione da atleta”. “Praticare aerobica e jogging mi fanno sentire bene, mi danno forza e sicurezza, svolgo l’esercizio fisico sempre con grande concentrazione, in palestra e fuori, come se non ci fosse nessuno attorno a me. In fin dei conti sono un soggetto meditativo – confessò la giovane donna - per ciò scrivo poesie e me ne vado da sola in montagna”. “Capisco, però sembreresti stare bene anche in compagnia”. “Sì, alcuni mi dicono addirittura che sono solare; ma è una condizione acquisita attraverso la ricerca del dominio di me stessa che pratico quotidianamente col fitness”, Maritza sentiva evidentemente l’esigenza di manifestarsi nella maniera più chiara possibile con l’amico “in questo modo ho raggiunto un grado soddisfacente di autocontrollo ed anche la mia vita sociale, nella consuetudine, è sostanzialmente appagante. Se ci pensi bene, però, il mio aspetto solare dipende soprattutto da un fatto esteriore: l’espressione del viso, il mio sorriso, i capelli biondo cenere….. Ti pare strano ciò che ti dico?”

“Che cosa hai fatto in questi giorni, nei tuoi pomeriggi dopo la scuola?” “Lunghe corse per i boschi di Monsagrati. E ho scritto poesie; ne ho raccolto una ventina, fra vecchie e nuove; ho intenzione di chiedere a una casa editrice la pubblicazione di un e. book”. “Che genere di poesie scrivi? allegre o tristi?” “Le une e le altre, in genere mi ispiro al mare o alla montagna e costruisco delle composizioni che raccontano con espressione poetica una breve storia, un fatto semplice che può essere accaduto a me o ad altri, o anche di pura immaginazione”.

“Possiamo vederci, domani, Maritza?”. “Sì, vediamoci, a che ora?”

Si incontrarono a Lucca di fronte ad una bottega che affittava biciclette e ne presero una per ciascuno, per fare un giro sulle mura. Gli alberi avevano perso tutte le loro foglie e la passeggiata sopra le mura era quasi del tutto infradiciata da un tappeto fra il giallo e il verde marcio, stranamente vuota di gente, sembrava che tutti gli abituali frequentatori si fossero dati appuntamento altrove. Pedalarono affiancati mantenendo un’andatura molto turistica, in modo da non scivolare e per potersi parlare. Ma la loro fu una conversazione prudente, sostanzialmente di circostanza. L’incontro non era valso a rigenerare fra loro una intimità ed una spontaneità che in passato erano già riusciti a raggiungere e che ora sembravano perdute.

Conclusero il loro giro e restituirono le bici, poi la ragazza disse che preferiva andare a casa da sola, a piedi, una lunga camminata a passi decisi le avrebbe ridato tono e vigore.

Ezio chiamò Agata e le raccontò ogni cosa. “E lei come sta, Agata?” le chiese alla fine. “Bertrand si trova bene a Falconara e così anch’io sono tranquilla. La scuola, la casa, una telefonata a Bert, un incontro a fine settimana, qui o nelle Marche: questo è il mio mondo. Al momento non chiedo di più”. “Da diversi giorni non la vedo in trattoria” “Già, sono diventata piuttosto casalinga: sto scoprendo che non mi dispiace cucinare” non seppe nascondere un sorriso. “E il cavallo numero 99?” “Presto dovrebbe riprendere le gare; anche lui ha avuto bisogno di un po’ di riposo”. Poi indirizzò diversamente il proprio discorso: “Ma parliamo di Maritza. E’ arrivata al nostro liceo classico tre anni fa. A scuola c’è chi le vuol bene e chi non la può vedere, però conosce la materia che insegna e non crea problemi al Preside, e questi non chiede altro. I ragazzi, come forse le ho già detto, la temono, perché li vuole sempre preparati ed attenti: ma come insegnante è senza dubbio valida: ha un’ottima cultura umanistica, sorprendente per la sua età, sa far lezione e tenere la disciplina; in fondo ad un professore non si chiede di più”. Agata sembrò abbassare il tono della voce come per farsi confidenziale: “Dal punto di vista degli affetti, le si conosceva una relazione con un dirigente di banca, bello ed in carriera, a vederli stavano bene insieme, ma poi non lo si è più notato all’ingresso della scuola all’ora dell’uscita; lei non ce ne ha mai parlato, non sappiamo se abbia sofferto di questa conclusione: sembrerebbe molto aperta nel rapporto con gli altri, forse in virtù di quel suo splendido sorriso, ma in realtà si conosce poco di lei. Per quanto mi riguarda, io ne ho stima; con me è sempre stata molto gentile, anche se i nostri incontri non sono mai stati molto frequenti e a volte si diradano del tutto e non so dirle il perché”.

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