FRAMMENTI DI LUCE

Frammenti di luce

In un luogo non specificato si svolge questo breve racconto che vuole scrivere, in maniera del tutto personale, del sentimento dell’amicizia, quella vera, profonda e che abbraccia ogni sfaccettatura e sfumatura della vita. Due giovani donne che affrontano un episodio drammatico che segna in maniera indelebile le loro esistenze. Un percorso tracciato da emozioni, decisioni e fragilità evidenti. Due donne che nonostante i tanti accadimenti lungo il loro percorso su questa terra, si tengono per mano a distanza e in maniera differente, intrecciando i loro sentimenti per sempre.

Antonella Vella

Antonella Vella
Nata a Genova il 13 agosto 1961. Dopo essersi diplomata ragioniera e aver compiuto la pratica professionale richiesta, si abilita e svolge la professione di commercialista dal 1983 per diversi anni. Alla nascita del terzo figlio abbandona la professione per dedicarsi esclusivamente alla famiglia. Coltiva da sempre la passione per la poesia e la scrittura oltre che per i viaggi. Una volta cresciuti i figli, accetta di collaborare con la testata giornalistica online Reteluna.it per puro piacere e soddisfazione personale.

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Ott 11

FRAMMENTI DI LUCE

Capitolo II

di Antonella Vella

capitolo 2

Gli sguardi perduti, i corpi gettati, i segni di battaglie senz' anima.

Il ritorno sembrava non finire mai perso nei loro occhi deserti e nelle loro parole vuote.

Ci ho provato, Vittoria, a far funzionare tutto, a dare un senso ai nostri percorsi.

Le nostre strade si sono divise quasi subito: nuove città, altre amicizie e studi diversi.

Lo abbiamo sempre saputo che sarebbe andata così, ma la necessità è diventata complice dei nostri desideri.

E proprio a Brescia ho conosciuto Andrea: impossibile, mi dicevo.

Ed invece è stato tutto talmente possibile che il percorso universitario è volato in un soffio tra fughe romantiche, libri appena sfogliati e baldorie serali. Quando Andrea, mano nella mano, mi ha condotta nei pressi di una splendida casetta che mi piaceva tanto, ho saputo che mi era stata data una seconda possibilità di serenità e l’ho colta al volo.

Tu non rispondevi volentieri alle mie telefonate, ti negavi attraverso le tue compagne di stanza e sentivo che la mia voce ti evocava ciò che volevi assolutamente dimenticare.

E così, in punta di piedi, ho indietreggiato e mi sono lentamente allontanata.

Le tue notizie, però, mi giungevano come spari nella notte ed allora correvo per prendere un treno e arrivavo quando la tua forza gridava aiuto. Ricordi? Tu che eri l’anima più forte, in grado di affrontare qualunque corrente, eri alla deriva, annaspavi e la vita ti stava inevitabilmente inghiottendo.

Ho provato a dirti di lasciare andare il ricordo, di far scivolare il giorno piano piano e che sarei stata sempre a distanza di un respiro da te, ma ormai eri spezzata e le ore erano solo scandite da deliri e nebbie... ti stavo perdendo e il mio dolore senza alcuna sfumatura lo accoglieva dolcemente Andrea. Lui con il suo amore mi ha preservata, mi ha aiutato a superare le notti e poi i giorni, i mesi e gli anni. Vorrei poterti dire che il mio dolore è stato risucchiato dalla mia voglia di lottare, che ho voltato le spalle alle mie sofferenze e ho proseguito senza indugi… ma, Vittoria, non è così.

Ho compreso anche perché ti sei sempre fatta affascinare da uomini senza equilibrio, spesso in bilico sul cornicione.

La loro follia diventava la tua e con essa vivevi in un’altra dimensione fatta di colori, immagini e suoni.

E quando le mancanze di quel mondo si facevano sentire, il letto d’ospedale era la tua ancora di salvezza.

E io correvo di nuovo, correvo nei corridoi, nelle corsie, su per le scale e mi affacciavo nella tua stanza, piccola e timorosa di non poterti più scuotere, abbracciare e cullarti tra le mie braccia.

I miei ragazzi crescevano e sognavano di una zia Vittoria che li colmava di biglietti amorevoli, di pacchettini con i fiocchi, di gigantesche uova di Pasqua.

Questa zia sempre tanto impegnata, sempre in giro per il mondo, sempre tra un volo e l’altro.

Ci credevano che fossi un’alta dirigente in un’azienda molto conosciuta, della quale stranamente non si menzionava mai il nome e che fossi sempre tra una città e l’altra.

La mia grande e incrollabile amica, la mia unica e incrollabile amica: senza la tua sola presenza, seppur distante, non avrei potuto sfuggire la paura.

E quando, ormai quasi adulti hanno voluto conoscerti, incontrarti a metà strada tra la tua realtà e la loro, tu non lottavi più, il tuo punto di vista era naufragato in un oblio senza tinte.

Hanno compreso, non hanno chiesto nulla, hanno lasciato che la mia disperazione urlasse, che il mio tormento non si calmasse: mi hanno lasciata dilatare il mio dolore.

Senza alcuna fretta ho raccolto tutte le tue cose e ti ho portata qui, in questo luogo di pace e candore.

Tra queste mura ho lasciato che i ricordi avessero il sopravvento, che le nostre menti potessero ricongiungersi serene o almeno per una volta cercarsi. Vengo a trovarti appena posso e il mio posso è di tutti i giorni, quando la routine domestica me lo consente e qui, al mio passaggio, voltano lo sguardo e mostrano compassione per quelle ore senza orario.

Leggo di favole, di racconti epocali, di saghe familiari e di volute solitudini. Leggo e sempre intravedo una luce nel tuo sguardo, una domanda, sempre la stessa, alla quale non siamo riuscite a dare una risposta, mai: perché?

Ricordi Vittoria che i perché li lasciavamo dire solo agli altri: noi eravamo sicure di avere in mano tutte le risposte. Sciocche, sciocche ragazze, così ignare e fiduciose, ci nutrivamo a più non posso di questa nostra credulità.

Ho sempre pensato di essere stata scelta per portare avanti, almeno io, una vita, un sogno, un tuo rimpianto.

Tu, Vittoria, non hai nemmeno camminato su questo sentiero: hai subito cercato di affondare i tuoi piedi nelle sabbie mobili.

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