Negli ultimi decenni si è riconosciuta un'importanza strategica primaria alle modalità di coinvolgimento nella attività aziendale di tutto il personale (indicato, appunto, con il termine "Risorse Umane" dalla terminologia inglese "Human Resources"). È fuori dubbio infatti che dal proporsi della popolazione aziendale rispetto al contesto della azienda e verso l'esterno, nonché dalle condizioni di "vita" all'interno della unità produttiva discenda una maggiore o minore resa in termini di produttività e, in definitiva, in termini economici e di bilanci finali. Senza contare che tutta la materia ha anche una rilevanza non meno significativa dal punto di vista delle etiche sociali, alle quali il mondo della produzione sembra essere sempre più attento. In altre parole benessere aziendale e profitti produttivi sono concetti che spesso vanno di pari passo.
Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.
TAGS
Gen 31
di Aldo Carpineti
Tweet | Condividi... |
Ci sono tre termini nella lingua italiana che esprimono concetti vecchi quanto il mondo o, per lo meno, quanto i primordi del pensiero filosofico. Eppure non parrebbe che siano mai stati considerati legati l’un l’altro da specifici nessi né che abbiano genesi per qualche verso comuni: a metterli insieme ci è riuscito il mondo della produzione che, soltanto fino a pochi lustri or sono, pareva lontano mille miglia da intenti di questo genere.
Ebbene, che la cultura fosse uno dei cardini portanti della buona produzione è sempre stato noto, ieri come oggi: un ingegnere capace anche cinquanta anni fa doveva essere, prima di tutto, colto e preparato nella propria materia e, parimenti, sotto questo punto di vista, la leva formativa, latu sensu intesa, ha sempre svolto una funzione insostituibile.
Tuttavia per quanto tempo la formazione del personale è stata affidata ad interventi episodici, non inseriti in un contesto studiato e programmato nei particolari, almeno a medio termine? Non è necessario andare molto indietro nel tempo per ricordare che un corso di una settimana in una città diversa dalla propria rappresentava spesso un premio isolato nella storia aziendale di una persona o, al contrario, una “sveglia” cui si affidava il compito piuttosto arduo di scuotere qualcuno che, aziendalmente parlando, dormiva sonni un po’ troppo profondi.
Oggi si riconosce unanimemente alla formazione un ruolo ben più significativo: non a caso e a buon titolo ha preso quota il concetto di “formazione continua”. L’aggiornamento oggi, almeno nelle realtà aziendali ispirate, accompagna il dipendente, considerate le sue funzioni, per tutto l’iter della carriera, tanto nelle materie relative al proprio settore quanto in quelle di diverso contenuto: tipici in questo senso, sono i corsi standard, oggi diffusissimi, di “Finanza e controllo per non addetti”; ma ancor più la formazione ha validità quando risponda ad esigenze sempre più specifiche dei casi concreti. In questi termini il concetto di “meritocrazia” smette di avere un’impronta esclusivamente datoriale perché anche il dipendente la fa propria a sostegno delle personali, legittime ambizioni di crescita: chi sa di più, meglio potrà vendersi in azienda e nello stesso mercato del lavoro. La tecnica si trasforma sempre più rapidamente, ed anche gli stessi modi di pensare e di agire della gente, le stesse abitudini, ed è perciò indispensabile metterle a confronto: crescere in cultura, aziendale e non, è un fatto cui nessuno, nel mondo moderno può obiettivamente rinunciare, pena perdere ogni treno che passa, e ciò è tanto più vero per chi lavori e viva in contesti organizzati.
A questo punto si inserisce nel discorso e si sviluppa con naturalezza insospettata il tema della “emozione”. Fino a qualche decennio fa le emozioni erano bandite dall’azienda: il manager doveva essere un freddo, e se pure aveva delle emozioni doveva, volente o nolente, non lasciarle trapelare, e così dovevano essere anche i suoi migliori collaboratori. Oggi si è assistito ad un ribaltamento di questa impostazione mentale. Ci si è resi conto che le emozioni positive, soprattutto se condivise (e perciò utili) all’interno del gruppo, giovano al raggiungimento dei migliori risultati; qualcuno ha detto opportunamente che “il cuore è entrato in azienda”.
E da qualche tempo si è anche messo a punto lo strumento atto a far sì che queste energie, sicuramente molto forti, almeno potenzialmente, queste “passioni” possano essere utilizzate al meglio: si tratta del coaching una pratica il cui nome, mutuato dalla semantica anglosassone, riporta a modalità di carattere sportivo: ai manager, ai dirigenti e ai loro collaboratori fa bene un “allenatore”. Una figura che si discosta dallo psicologo aziendale (ma non di molto) per la sua formazione, il suo passato e la sua esperienza più tipicamente “aziendale”, ma che prende per mano e mette in grado la persona, attraverso una pratica che potremmo definire di formazione individuale attraverso sedute a due, di scoprire le proprie doti, tanto quelle ispirate a motivi tipicamente produttivo-commerciali, quanto altre, di natura eminentemente umana ed umanistica: una forma di “allenamento” individuale che “tira fuori” le capacità profonde del soggetto che si sottopone a tale pratica, in modo che vengano messe in gioco tanto nella vita lavorativa quanto fuori delle mura dell’azienda.
Si potrebbe dire con altre parole che, usando le tecniche di coaching, l’allenatore mira a fare in modo che, nell’allenato, scocchi quella scintilla che lo determini a ricercare e dare il meglio di sé, attraverso la migliore conoscenza delle proprie potenzialità e la volontà di realizzarle nelle opportunità di vita, in primis nel mondo del lavoro. Così che sia portato, per propria intima convinzione e determinazione, a esprimere tutti quegli intenti culturali (eccoci al concetto di prima) che lo trasformano in una persona sostanzialmente “migliore”, più appagata nel proprio animo e più capace di esprimersi attraverso tutti i propri mezzi. Non c’è dubbio che il coaching, realizzato in maniera costante e con la guida di un esperto preparato, possa diventare persino una filosofia di vita ed uno stile esistenziale; quando il coach avrà trasmesso al coachee la maturità sufficiente, questi sarà in grado di “autoformarsi” e cioè di continuare autonomamente il proprio cammino. Può risultare senza dubbio un’esperienza di grande valore professionale ed anche sotto il profilo delle profondità umane. Molti che hanno sperimentato il metodo riferiscono di aver trovato in sé abilità che non sospettavano di possedere e lati nascosti del carattere che ora sono in grado di trasformare in capacità efficaci quanto mai, da applicare nel proprio lavoro; e non soltanto nei rapporti reciproci, molto di più delle vecchie “relazioni interne”, perché incidono soprattutto sulle personali skills produttive. A vostra richiesta possiamo fornirvi nomi di scuole di coaching che formano alla funzione attraverso full-immersion o master e, con i propri esperti, esercitano direttamante il coaching sulla popolazione delle aziende.
E’ il momento del terzo “termine” o “sostantivo”, l’etica: e che cosa è etica se non affinare il proprio animo attraverso la cultura? l’affinamento della cultura, correttamente intesa, in azienda come “extra moenia”, è propedeutico ad ogni altra intenzione etica; non c’è dubbio che attraverso la crescita degli aspetti più pregiati dell’animo si arriva ad un comportamento ispirato a criteri di umanità e di umanesimo dotati di valore aggiunto; e i vantaggi, in azienda, si apprezzano di conseguenza e molto praticamente, anche dal punto di vista economico e dei fatturati: non è certo un asintoto, infatti, sostenere che produzione corretta e produzione efficace vanno di pari passo, soprattutto per chi è attento ai criteri della qualità. L’universo aziendale, insomma, ordinato nella globalità e nei singoli, può dare il proprio impulso determinante sotto il profilo della stessa convivenza civile. Ciò è tanto più vero in un mondo come quello di oggi, in cui gli strappi alle etiche si pagano prima o dopo in prezzi non sostenibili. Etiche del rapporto quotidiano ed etiche collettive. C’è una norma comunitaria, la SA8000, che prende in considerazione gli aspetti etico-aziendali e li ordina in modo sistemico: dalle ricadute in termini di ambiente a quelle sulla sicurezza negli ambienti di lavoro, dalle eque condizioni di prestazione lavorativa per i dipendenti alla condotta degli stessi nell’ambito aziendale e di lealtà nei confronti dell’impresa dove lavorano. Una società di servizi genovese di alto pregio, il RINA, offre un servizio di formazione per formatori su queste materie: formazione alle persone che andranno a formare altri, in un processo a cascata. Il RINA (Registro Italiano Navale) ha sempre avuto, per tradizione e per riconoscimento giuridico-normativo, il compito della classificazione e certificazione di tutte le navi e imbarcazioni nazionali; successivamente e gradualmente ha acquisito compiti di certificazione (ed anche di consulenza) in altri campi. E la SA8000 è larga parte, oggi, dei suoi progetti e finalità.
Cultura-emozione-etica: tre concetti che hanno trovato intima connessione in un intento oggi perseguibile, se si uniscono le buone volontà di tutti: produrre in rinnovate condizioni d’animo per uomini e donne d’azienda, produrre meglio, in un ambiente dalle ottimali condizioni di lavoro, nell’ottica della migliore soddisfazione dell’utilizzatore finale del prodotto e per la crescita del successo commerciale.
© Riproduzione riservata
1066 visualizzazioni