CapitoloXXIII

Al di là della porta

A metà tra il romanzo di costume ed il noir. La protagonista trova il marito accasciato al di là della porta di casa e, per quanto gli inquirenti decidano, in base alle circostanze, per il suicidio, la donna si adopera per riconoscere l’autore o gli autori del delitto e giunge alla conclusione dopo innumerevoli vicissitudini. Il racconto mette a nudo diverse realtà della società di oggi, fra organizzazioni a delinquere e personaggi malavitosi o semplicemente ambigui, senza dimenticare l’attenzione al particolare geografico, nell’ambiente del levante ligure ben noto all’autore per avervi trascorso una importante parte della propria vita lavorativa.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Nov 7

CapitoloXXIII

Capitolo Ventitreesimo

di Aldo Carpineti

capitolo ventitreesimo

“Ciao bella” le disse un giovanotto, mentre Delia spingeva faticosamente sui pedali, rientrando da Aediles S.r.l.verso casa, lungo la strada abbastanza ripida prima del bivio per Monte Marcello. La sua macchina era stata danneggiata in modo irreparabile e lei aspettava che le consegnassero un’altra Audi identica alla prima. Gli orari di Delia e Giusy difficilmente coincidevano e non sempre la sorella minore poteva darle un passaggio. Così Delia aveva rispolverato la bicicletta, dimenticando però quanto potesse essere faticoso incontrare una salita impegnativa. “Ehi bella, vuoi un passaggio? – insistette il giovane - ho il portabiciclette sopra la macchina, vedi?” “Ragazzo, non fare lo spiritoso – rispose Delia divertita, ma ostentando un’aria seriosa – avrò almeno quindici anni più di te; perché non fai la corte alle ragazzine?” ma, senza fiato per colpa della salita e dei discorsi, non poté fare a meno di posare il piede a terra. Sbuffò come un mantice e fissò il giovanotto negli occhi; qualcuno pensa che i giovani del duemila sono debosciati, ma quello sembrava intraprendente quanto mai. “Dai, dammi la bicicletta - disse il ragazzo, la prese e la fissò sul tettuccio senza dare a lei la possibilità di opporsi – oggi hai avuto fortuna ad incontrare me, ma perché non ti compri un motorino? ce ne sono di quelli facili da guidare, anche senza marce. Mi guardi con aria interrogativa eh? ebbene ti dirò: sono il responsabile di una squadra di pallavolo femminile di queste parti, io ti conosco, tutti da queste parti ti conoscono; oltre che darti un aiuto volevo farti una proposta commerciale: siamo interessati ad avere la sponsorizzazione da Aediles S.r.l.; che ne dici? sarei venuto in azienda da te, un giorno o l’altro, poi ti ho vista qui, in difficoltà sui pedali e ti ho chiamata”. “Sono negata per i motorini e per tutto ciò che è a due ruote e motore: la velocità e l’instabilità insieme mi fanno paura; persino in bicicletta ho il terrore delle discese troppo ripide. Quanto alla sponsorizzazione, mah è una cosa che non abbiamo mai fatta, e neanche pensata; ne dovrei comunque parlare in azienda; difficilmente prendo decisioni da sola….” La proposta aveva stupito Delia ancora più di quanto non fosse rimasta sorpresa per lo strano incontro con il ragazzo: “Chissà potrebbe essere un’idea da non scartare; su quali spese si andrebbe?” “Ci pensiamo; ti telefonerò fra un paio di settimane a casa, così mi dici che cosa hai deciso; ah, tieni a mente, la nostra squadra si chiama Fulgor, ed io sono Tom, sì, Tom Cecchi”. “ Ma, dimmi un po’ – riprese Delia - come mai tutta questa confidenza? mi tratti come se io fossi una tua coetanea o una vecchia amica”. “Beh, mi sembra che non ci sia niente di strano; ti parlo così perché fra giovani, ormai, questo è il modo di rapportarsi. E’ normale; mia moglie tratta le persone esattamente come me, anche gli uomini”. “Sei anche sposato? ma quanti anni hai, e tua moglie?” “Ventidue io e ventidue lei, sono più vecchio io di due mesi”. “Siete due sposi bambini; tua moglie gioca nella squadra di volley?” “Certo, è capitano. Capirai, lei ed io abbiamo fondato la squadra, tre anni fa”.

A Delia, per la verità, non dispiacque che l’avesse trattata come una coetanea. “Allora aspetto la telefonata, e grazie per il passaggio” concluse. Una volta a casa, con un po’ di anticipo rispetto a quando aveva fatto conto di arrivare, ritenne di concedersi per cena qualche cosa di insolito; cosicché nella credenza fece una bella raccolta di fagioli bianchi e scuri di ogni tipo, lenticchie, farro, ceci, grano saraceno, orzo e preparò una densa e saporita zuppa alla lucchese; non dimenticò, dopo averla travasata nel piatto, di aggiungere un filo di olio crudo, rigorosamente del migliore: aveva imparato la ricetta presso un’antica osteria lucense che da poco tempo aveva cambiato sede e si era ingrandita, pur rimanendo sempre entro le mura: offriva una grande tradizione di specialità locali e per questo era molto conosciuta e poteva contare su una clientela affezionatissima. Per secondo si preparò una cotoletta alla milanese, facendo uno strappo sul fritto, che difficilmente mangiava, e patate arrostite per contorno; alla fine si complimentò con sé stessa per le sue capacità di chef. E rise, pensandosi donna di esperienza, che si entusiasmava del mondo ludico dei giovani.

Le sere successive, Delia e Giusy riuscirono sempre ad accordarsi per andare in azienda insieme con l’auto di Giusy, una pregevole Bravo nera, cosicché non ci fu bisogno del motorino né più, per fortuna, della bicicletta. Giusy doveva percorrere un po’ di strada decentrata per andare a prendere Delia e poi ritornare indietro, ma non fece mai mostra che questo le pesasse; dopo un mesetto arrivò la Audi, profumata di nuovo, scintillante, era anche più bella della prima. Nel frattempo Tom si era fatto vivo per conoscere le intenzioni di Delia: ma invece che una risposta ebbe una serie di domande. Attraverso quali modalità l’immagine della società sarebbe stata portata all’attenzione del pubblico? l’Aediles era l’unico sponsor o avrebbe diviso il contratto con altri? come si calcolava l’impegno economico? con quali modalità e cadenze sarebbero avvenuti i pagamenti? Tom fu esauriente: il logo della Aediles sarebbe comparso su ogni capo di abbigliamento sportivo delle giocatrici; in palestra, prima e dopo le partite e gli allenamenti, sarebbero stati messi cartelloni con richiami studiati insieme alla direzione dell’azienda, al centro la piramide; sulle portiere del pullmino della squadra avrebbe pure trovato posto il logo in dimensioni proporzionate; la Aediles S.r.l.sarebbe stata l’unica società sponsorizzatrice; per quanto riguardava l’impegno economico, si trattava di mettersi d’accordo, sulla base di quanto fra loro previsto.

A Delia e Giusy l’idea sembrò originale e innovativa rispetto al precedente modo di proporsi della Aediles, ne parlarono anche con Serena per sentire l’opinione di una venticinquenne e lei si disse elettrizzata dall’idea; decisero di dare una risposta affermativa, Fulgor e Aediles scambiarono l’una con l’altra positivi elementi di personalizzazione; la squadra di volley prese il nome di Fulgor Aediles, che le aggiungeva collaudati motivi di tradizione e buon nome; mentre a Delia e Giusy piacque soprattutto di dare alla società un’impronta giovanile: la complementarità era alla base del connubio.

La cifra annuale richiesta dalla società pallavolistica non era poi neanche esagerata e Fulgor e Aediles divennero in breve un binomio che sarebbe stato un sodalizio classico nell’ambiente dell’una e dell’altra. La Fulgor giocava in B1 ed aveva trasferte anche abbastanza lontane: il nord e il centro Italia erano l’area di riferimento; la sponsorizzazione poteva procurare però i migliori frutti all’azienda soprattutto con le trasferte di media distanza, in località dove aveva un senso dare incarichi ad una azienda di edilizia stradale che non fosse troppo fuori portata.

Vera, oltre che essere capitano, era anche l’autentica anima e trascinatrice della squadra in campo. I due giovani, impiegati nella stessa compagnia assicurativa, in serata disponevano del tempo per gli allenamenti e per gli impegni organizzativi di Tom: l’una e l’altro dotati di grande comunicativa, si dedicavano all’attività presi da un’autentica passione, in un momento in cui la specifica disciplina riscuoteva molte simpatie in tutto il mondo sportivo; ed in particolare modo il settore femminile. “E’ un gioco di eccezionale dinamismo – ripeteva spesso Tom - in cui però non c’è il contatto diretto fra avversari, cosicché anche gli infortuni sono sostanzialmente rari”. La passione sportiva contagiò anche Delia e Giusy, che presero gusto a seguire la squadra il sabato sera, ogni volta che era loro possibile, a volte anche in lunghe trasferte, se la partita meritava particolarmente per motivi di classifica e di spettacolo

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