di Stefano Termanini
Chissà – ho pensato leggendo i due recenti articoli di Aldo Carpineti su Reteluna – che lo sport non stia anticipando la medicina? Aldo Carpineti afferma che, rispetto a un tempo, l’atleta contemporaneo tende sempre più a dotarsi di una preparazione fisica completa, integrale, che tenga conto delle braccia, se pure all’atleta, per la specialità di cui si occupa, si richiede di essere potente soprattutto sulle gambe o viceversa. Che tenga conto, cioè, della muscolatura tutta, dell’insieme armonico del corpo, per quanto all’atleta sia necessario, invece, uno sforzo parziale.
Questo mi piace e mi fa riflettere.
«Avevo un dolore alla gamba», mi ha detto qualcuno, «e il medico mi ha ordinato una risonanza, ma non si è visto niente. Mi sono tenuto il male».
«Soffrivo di un gran malditesta», mi ha detto qualche altro, «ho fatto lastre ed esami, ma niente!».
Discorsi di amici, colti qua e là. Tutti insoddisfatti di un modo di procedere della medicina d’oggi, troppo segmentata, troppo parziale, troppo iperspecializzata. Discorsi e storie tutti, per fortuna, a lieto fine, perché il dolore alla gamba aveva, quale causa – ha scoperto dopo qualche tempo l’amico – una cattiva postura e il malditesta dell’altro, a quanto pare, aveva radici psicosomatiche che pescavano in una vita troppo stressante. Ma tant’è: sono esempi, forse banali, ma veri, e appartengono alla vita di ciascuno di noi e all’esperienza di ogni giorno. Il corpo umano, vorrei dire anzi la persona umana, non è un insieme di pezzi. Un meccanismo in cui, se le candele sono usurate si cambiano e se la centralina è fusa, si sostituisce. Pare che gli atleti – e la scienza sportiva che ormai puntualmente li segue – lo stia comprendendo, anzi che lo abbia già compreso, prima e meglio della medicina ordinaria, deputata a prendersi cura di tutti noi, che non dobbiamo far segnare record (anche se la vita quotidiana ci impone di scavallare sempre più in alto e di sgropparci sempre più a lungo).
Pensavo, dunque: lo sport ci insegna, dai tempi dei Romani, che il corpo è sano quando anche la mente è sana. E viceversa. Ci insegna che, per stare bene, per riuscire bene, non va interrotta l’armonia di soma e di psiche. Che il record è il prodotto di una ben equilibrata mescolanza di fattori e che alla meta ci arriva chi si è allenato in quella disciplina e, almeno un po, in tutte le altre.
La vita non dovrebbe essere una gara (anche se lo sta diventando), ma l’armonia di mente e di corpo è certo un traguardo. Badiamo, dunque, di più, come lo sport ci insegna, a tener conto di ciascuna nostra parte per se stessa e in relazione a tutte le altre. Badiamo di più al fatto che, se si manifesta un dolore, che è segno del nostro disagio e della nostra disarmonia, non è detto che il problema sia proprio lì – lì e soltanto lì – dove il dolore si è manifestato. Impariamo a guardare un po intorno; impariamo a guardare il punto e il cielo, l’organo che duole e la persona che soffre. Magari la cura di cui c’è bisogno sarà soltanto il rimedio di una disarmonia.
Domenica 3 novembre 2019
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