di Aldo Carpineti
Non mancherà chi considererà questo intervento una caduta di stile. Ed in effetti lo è. Credo però che, per intendersi esattamente sulle cose, bisogna usare le espressioni giuste; le metafore, le circonlocuzioni e i sinonimi più eleganti non sempre funzionano.
A chi di noi non è capitato, in qualche momento, di sentirsi un cesso? E come descrivere questa sensazione se non usando proprio questo sostantivo? Come abbiamo reagito? Tappandoci in casa nell’attesa che il momento passasse? Uscendo per affrontarlo e cercare di superarlo a contatto con gli altri?
Qualunque sia stata la nostra tattica poco importa, ciò che rileva qui è il dato di fatto, indipendentemente dalla sua causa e dalla sua risoluzione.
Importa rilevare cioè che sentirsi un cesso accade e, probabilmente, accade a tutti, anche se non ho controprove per assicurarmi che questa supposizione sia reale.
Non ho neanche la pretesa di insegnare a vivere alla gente, proponendo un modo di uscirne e non voglio giustificare a me o agli altri l’insorgenza di questo stato del proprio animo e del proprio fisico. Neppure mi viene in soccorso il detto, peraltro molto saggio, di Totò secondo il quale ogni rovescio ha la sua medaglia.
Mai come in questo momento voglio soltanto prendere in considerazione l’esistenza di un fenomeno della percezione di sé, senza addurre motivazioni di carattere terapeutico o etico o consolatorio.
Semplicemente sentirsi un cesso é. Sentirsi un cesso accade. Che lo si voglia o non lo si voglia. E stop
Venerdì 19 luglio 2019
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