di Maria Grazia Dapuzzo
Vincenzo Lagalla ha realizzato recentemente un lavoro che presenta, venerdì 6 settembre, all'ex Ospedale Psichiatrico di Genova Quarto, nell'ambito del Festival Quarto Pianeta. L'inaugurazione è alle ore 18 presso Spazio 21, Via G. Maggio 4, Genova Quarto.
Questo lavoro è un'installazione costituita da un lenzuolo bianco di dimensioni cm. 220 x 250 con la sagoma di un uomo che tiene da un lato, il tronco di un alberello secco e nell'altra mano delle foto sparse tutt'intorno. Una striscia rossa orizzontale separa due parole: Escludere e Internare.
Quarto Pianeta Festival 2024 «Da vicino nessuno è normale» è dedicato al centesimo anniversario della nascita di Franco Basaglia.
Riporto uno scritto di Vincenzo Lagalla dal titolo «Matto da Legare»
Il progetto dell'installazione muove da un'esperienza personale.
Un amico di gioventù, andato via dal luogo di origine per necessità lavorative, dopo diversi anni è stato espulso dal sistema produttivo e sociale in cui viveva ed è stato restituito ai genitori contadini con diagnosi di schizofrenia. «Poveri genitori contadini certo siete invecchiati e ancor temete il Signore del cielo e gli acquitrini genitori che mai non capirete...» per dirla con Esenin.
Gli sono stato vicino per un lungo periodo, nella speranza che «ritornasse» ad essere il ragazzo con cui sono cresciuto, ma ero poco più che ventenne e non avevo conoscenza di «Salute mentale», così ho cominciato a leggere David Cooper, Ronald Laing e Michel Foucault. Ho cominciato ad assillare un altro amico medico, specializzando in psichiatria che da lì a poco avrebbe cominciato a praticare la professione come Psichiatria (corrente Junghiana).
Lo chiamavo tutte le volte in cui ero in difficoltà, spesso da una cabina telefonica a gettoni. Ho accompagnato il mio amico negli incontri con lo Psichiatra individuato dalla famiglia per le certificazioni necessarie. Lo Psichiatra di mezza età ma di «Vecchio stampo» interveniva con massicce dosi di farmaci e con rimproveri, restavo allibito ma non osavo parlare, ero un uditore non pagante e comunque eravamo alla fine degli anni Settanta, anni di contestazione proprio di quel sistema immobile e retrogrado.
Giorno dopo giorno l'ho visto stordito dai farmaci, l'ho visto sudare in deliri straripanti fino a spaventarmi, l'ho visto imbruttirsi, ingrassare e dilatarsi mangiando di notte e dormendo di giorno, fino ad arrivare a non essere più riconducibile a sé.
Non l'ho visto morire, forse non ce n'era bisogno, forse era già morto, forse semplicemente per me era diventato insopportabile vederlo scomparire. Ciao amico mio
L'installazione, progettualmente, prende avvio da due verbi: Escludere - chiudere fuori, Internare - chiudere dentro, e poggia su due elementi essenziali:
1. L'Assenza del folle Ridotto a sagoma, il corpo del folle si assenta lasciando la scena alla follia.
2. Il Dolore della follia Spostando l'attenzione sulla follia i riflettori si accendono sul «Dolore» che si trascina dietro.
Struttura
Un telo strappato e rammendato sovrapposto ad altro telo a formare un unico telo di mt 2,20x2,50 circa, trattati tutti e due con gesso. Dagli strappi in alto sul telo esterno appaiono brandelli di cielo.
Una striscia rossa definisce in basso l'orizzonte per tutta la lunghezza del telo, separando la terra dal cielo e le due parole.
A sinistra una foto in B & N formato 29 x 42 cm. fuoriesce da una fessura verticale del telo. Raffigura un'ambiente manicomiale con una sedia rovesciata a terra. Sotto questa foto più grande tante foto piccole (cm 21 x 30) tenute insieme con spille da balia scivolano giù fino a coprire una parte del pavimento sottostante.
Al centro una sagoma formata da una camicia di forza slacciata, sopra pantaloni bianchi ospedalieri, attaccata al telo con spille da balia, sembra voglia uscire fuori dal quadro formato dal telo. Gli indumenti sono percorsi verticalmente da una lunga e grossa corda a formare delle grandi vene sia sul lato sinistro che su quello destro della sagoma.
Un cappio rovesciato fuoriesce dal collo della camicia con un nodo scorsoio a formare una testa vuota. La corda si ramifica nel corpo ed esce biforcata dalle gambe dei pantaloni finendo in scarpe nere.
A destra subito sopra e subito sotto la linea rossa le due parole segnate con gessetto nero: Escludere / Internare. Sotto le parole un telo bianco poggiato sul pavimento forma la base su cui sono sistemate zolle di terra secca.
Suggestioni
Il Bianco, con le sue tonalità, è il colore dominante. Nel bianco ospedaliero viene girato il film della follia. Il telo strappato e rammendato, base dell'opera, indica la condizione della follia: «Schizo-phren» mente divisa, lacerata, fatta a pezzetti. Le cuciture dei rammendi cercano di tenere insieme il mondo «reale». La striscia rossa è la linea di dolore che separa la terra arida dai brandelli di cielo (tutto è frammentato). Le foto gocciolano dal rubinetto dei ricordi, frammenti di un internamento.
La sagoma, con la camicia di forza slacciata, tenta di uscire dalla «cornice della follia» tendendo il braccio all'esterno; le vene nello sforzo si gonfiano e si ammucchiano formando un cordone che attraversa il corpo. La testa si è svuotata spargendo tutto intorno pensieri e immagini.
Le zolle di terra si contrappongono ai brandelli di cielo azzurro; forse momenti di serenità. Le spille da balia tengono insieme, faticosamente, tutti i pezzi di un puzzle che non riesce a formare un'immagine definita.
La costruzione non regge, è difficile tenere insieme un'identità con chiodi e colla. Il falegname ha fatto un buon lavoro ma ha realizzato un altro burattino che non è stato bambino e non diventerà adulto.
I riferimenti letterari a cui si rifà Vincenzo Lagalla sono: Psichiatria democratica (1973), Franco Basaglia (1924 - 1980), Franca Ongaro (1928 - 2005), Antonio Slavich (1935 - 2009), Movimento di Anti-Psichiatria (1965), David Cooper (1931 - 1986), Ronald David Laing (1927 - 1989), Paul-Michel Foucault (1926 - 1984).
(Cliccare sulle foto per ingrandirle)
Martedì 3 settembre 2024
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