di Aldo Carpineti
A Genova è presente una nutrita colonia di ecuadoriani e peruviani, in minor numero la città ospita albanesi e croati.
L’età media della popolazione genovese è alta, molto alta: ne è ragione una natalità assai contenuta, nascono pochi bambini, le coppie difficilmente ne mettono al mondo più di uno. Il numero dei residenti ha sfiorato le 900.000 unità 25-30 anni fa, ora siamo 600.000.
Anche se gli anziani sono numerosi, oggi si presenta una realtà difficile persino per le badanti, che sono diventate tante e si fanno una forte concorrenza reciproca: per le caratteristiche del loro lavoro, oltre tutto, si trovano necessariamente a cambiare datore di lavoro con maggiore frequenza degli altri lavoratori.
Questa circostanza fa si che le badanti vivano il proprio lavoro in modo assai precario e spesso siano tentate di tornare al proprio paese quando intervenga il decesso della persona che accudivano.
Naturalmente chi offre lavoro, avendo possibilità di ampia scelta, assume persone che possano fornire totali garanzie riguardo al carattere e alla abilità lavorativa.
Con tutto ciò queste persone svolgono un ruolo che è diventato indispensabile, anche in considerazione del crescere della durata della vita, che non va di pari passo con una diminuzione degli acciacchi. Anzi le età molto elevate di tante persone fanno sì che i problemi di salute si sommino l’uno all’altro determinando complessi quadri clinici generali.
Sono sostanzialmente poche le donne italiane che si adattano a questi compiti professionali e ne deriva quindi che il lavoro delle badanti extracomunitarie sia prezioso ed insostituibile.
Ciò malgrado, e persino a Genova dove, come s’è detto, ci sono tanti anziani, la crisi ha investito anche questo tipo di prestazione. Ecuadoriane, peruviane e croate fanno sempre più fatica a sistemarsi.
Giovedì 11 dicembre 2014
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