di Aldo Carpineti
La popolazione di piazza Manin sembra presa da una forma di autosuggestione che si esalta con il reciproco contatto fra le persone. Nella trasformazione del quartiere in zoo è evidentemente convinta di trovare la felicità e la soluzione a tutti i propri problemi. Difficile dire perché un intero quartiere, comprese le persone di cultura, riescano a darsi l'idea che il bene stia nell'acquiescenza ad un fasullo ordine imposto. Che, ad ogni occasione del suo manifestarsi, si rivela invece deleterio per tutti e sotto ogni punto di vista, per ogni individuo e per la collettività intera. Tutti convinti che sia la panacea, ed invece è il fallimento. Senza contare che il contagio, se non fermato, assume diramazioni per ogni dove, nella nostra città ed oltre.
Ci rendiamo conto di predicare al vento, eppure non riusciamo ad esimerci dal farlo, convinti come siamo che tacere sia la peggiore delle soluzioni. Però una voce nel deserto, ne rimaniamo certi, può avere echi anche lontani, e risultare utile in un modo o nell'altro. Forse finiremo per fare la figura dell'isolato pazzoide che si mette contro tutto e tutti, ma siamo convinti valga la pena di correre anche questo rischio. Perché le cose, obbiettivamente e per la stessa ragione naturale, non possono volgere sempre al peggio.
Una cosa è certa, personalmente non ci piegheremo ad un dictat insulso quanto ingiustificato. Sentirsi vivi, vivere, è diritto di ciascuno di noi e non intendiamo lasciarci morire tanto facilmente. Ce lo impone il legittimo orgoglio, e non solo. Anche la dignità ed il convincimento di fare il bene nostro e quello comune.
Sabato 9 gennaio 2021
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