di Aldo Carpineti
Referendum istituzionalmente non necessari sono stati indetti recentemente in diversi paesi europei. Non richiesti dalle disposizioni costituzionali dei rispettivi Stati avevano in realtà lo scopo non dichiarato di consolidare il potere dei premier al governo, che sono stati i veri promotori di queste consultazioni popolari
In Inghilterra Cameron ha chiamato i cittadini alle urne a proposito della permanenza del proprio paese nella Ue. Il risultato, non certo scontato anzi piuttosto sorprendente, ha segnato il distacco degli inglesi dalla Comunità, travolgendo politicamente lo stesso premier che ha immediatamente rassegnato le dimissioni.
In Ungheria Victor Orbàn ha chiamato i cittadini alle urne per confermare la loro disapprovazione all’accoglienza dei migranti; la consultazione non ha raggiunto il quorum dei votanti utile per essere ritenuta valida, delineando così una palese sconfitta per lo stesso primo ministro ungherese. Poco importa se poi questi, considerate anche le peculiarità del suo insediamento al potere e dei suoi principi politici, ha ritenuto di ignorare di fatto la sconfitta e di procedere nella sua linea contraria all’immigrazione. Questo atteggiamento fa parte della tipologia stessa del suo potere molto vicino a forme di natura dittatoriale.
Venendo all’Italia e al premier Matteo Renzi, anche qui si deciderà nei primi giorni di dicembre una quaestio di rilevanza costituzionale: la trasformazione del Senato.
Va detto che il doppio passaggio alle Camere bastava e avanzava per rendere valida ed applicabile la riforma e perciò la consultazione popolare risulta un di più del tutto pleonastico. Qui da noi, in questo caso, non trattandosi di un referendum abrogativo ma di una modifica della Costituzione, non è invece necessario raggiungere alcun quorum di votanti perché la votazione sia valida. In altre parole anche se, per ipotesi, soltanto il 30% degli aventi diritto al voto andranno alle urne la maggioranza di questa percentuale avrà il potere di decidere in un senso o nell’altro.
In questo momento pare orientata verso il sì soltanto la corrente politica di Renzi, e neppure tutto il suo partito. Le forze del no appaiono assolutamente preponderanti anche se non coordinate fra loro. Un momento difficile per l’attuale premier italiano.
In conclusione l’aver indetto questi tre referendum appare ed ha tutta l’aria di un boomerang per gli stessi che li hanno voluti, sempre che Renzi non sappia volgere a proprio vantaggio all’ultimo momento le sorti della consultazione che avverrà presto nel nostro paese. Resta il fatto che il voto non deve essere considerato una pronuncia pro o contro Matteo Renzi ma deve tener conto dei contenuti giuridici economici e politici della riforma.
Martedì 25 ottobre 2016
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