di Aldo Carpineti
Avevo cominciato da qualche tempo a prendere in considerazione l’idea di cambiare casa. Non che Salita Multedo non mi piacesse, anzi la zona di Piazza Manin offriva molto in termini di tranquillità ed anche di servizi, insieme alla suggestione di essere nato proprio in una di quelle stanze e ad avere abitato lì per la maggior parte dei miei anni. Andavo per i 73, li avrei compiuti il prossimo ottobre. Tante erano le amicizie e le conoscenze nel quartiere, i riferimenti in termini di locali di ristoro e di aggregazione sociale. Tante le possibilità di risolvere ogni momento della propria giornata senza soffrire di solitudine o malinconie.
Eppure Salita Multedo stava cominciando a diventare faticosa, ed a poco valeva la soluzione dell’ascensore pubblico con partenza da Corso Armellini e arrivo in via Contardo. In realtà questa possibilità diminuiva non tanto l’esigenza di affrontare salite o discese per uscire o rientrare a casa. Per carità, Genova è quasi tutta faticosa, lo si sa, stretta com’è fra il monte e il mare, con spazi esigui di stazionamento e di transito, con strade anguste ed elaborate, addirittura contorte. Chi vi abiti ne ha abitudine; è la bellezza ed insieme la condanna del luogo. Gran parte della Liguria è così, è il suo fascino ed insieme il proprio carattere. C’è chi sostiene che lo stesso umore, le inclinazioni, il modo di comunicare dei genovesi siano una conseguenza della conformazione del territorio e della antica abitudine di strappare con difficoltà fasce coltivabili al declivio della collina o addirittura della montagna. Vero o no che sia, certo i Liguri ed i Genovesi in particolare hanno una umanità originale ed unica rispetto agli italici di tutte le altre zone della penisola. Una realtà che conferisce loro fama non sempre ed a tutti simpatica. I benevoli dicono che i genovesi sono i più inglesi fra gli italiani.
Ebbene in tutto questo piccolo universo Salita Multedo, in particolare il n. 12, rappresentava uno spaccato ed un abstract tipico del contesto generale. Le mie gambe, un tempo valorosissime protagoniste di corse campestri e mezzofondo in pista, davano da tempo segni di logoramento. L’uso, forse l’abuso, avevano determinato acciacchi di varia natura. E Salita Multedo non era un percorso che si potesse fare una volta al giorno soltanto, avanti e indietro: le diverse sollecitazioni dovute alle esigenze alimentari e quelle di incontri e scambi sociali facevano sì che le scalette dovessero essere percorse su e giù diverse volte al giorno: da qui la suddetta faticosità del vivere quotidiano, con l’aggiunta dei bagagli pesanti quando fossero necessari spostamenti domiciliari.
Un’amica e vicina di casa, che mi è molto cara, riconoscendo queste mie difficoltà, con tutto il tatto necessario, mi suggerì di cambiare zona, di andare ad abitare, per esempio, in San Fruttuoso dove si trovano abitazioni dai prezzi non esagerati sia in affitto sia in vendita. Ma San Fruttuoso mi ispirava poco. Non una zona brutta, anzi classica in Genova, con una sua anima e un suo stile; e tuttavia in nessun modo mi ci vedevo trapiantato, non avrei potuto diventare mai un abitante di Corso Sardegna o Piazza Martinez. Il mio animo genovese era profondamente radicato in Circonvallazione a Monte: un’altra sede avrebbe finito per non identificarmi più in me stesso.
Fu così che prese campo una valutazione più ampia, possibilista circa l’opportunità di lasciare non soltanto salita Multedo ma Genova stessa. Le ragioni potevano in quel momento essere tante e coincidere in diverse concause che suggerivano questa unanime soluzione. Non fu difficile identificare una destinazione diversificante ed al tempo stesso risolutiva per molte delle istanze che al momento sentivo come necessarie da realizzare. Una sintesi delle aspettative e delle aspirazioni portò immediatamente a considerare Viareggio come l’unica meta nella quale avrei potuto ritrovare motivazione ad ogni mia istanza esistenziale.
Viareggio era stata nel passato coincidenza di tanti e diversissimi motivi di carattere razionale e di carattere emozionale. Un coacervo di sensazioni che mi davano certezze circa una scelta indiscutibilmente preferibile ad ogni altra. La città dove più vicina era stata l’intesa con mia figlia bambina rappresentava il primo e più significativo aspetto di identità e di unità con il luogo e poi, molto più tardi, il ritornarci per motivi di lavoro, come base per facili spostamenti su altre zone della Toscana, segnatamente su Pisa, erano conferma di una reciprocità d’animi tra me e la città stessa. L’aver abitato, in queste occasioni, per concessione generosa di amici, una palazzina dove avevo trovato grande famigliarità nelle soluzioni domestiche, l’avere attraverso queste modalità instaurato un clima di intese con il luogo. Fu tutto questo a farmi scegliere senza esitazioni il mio nuovo habitat ed a farmi interpretare come possibile la costruzione di un nuovo mondo esistenziale articolatamente soddisfacente, tale da presentarmisi subito come un trampolino di lancio verso nuove e più avanzate realizzazioni di me stesso. E da valere persino l’azzardo legato ad un cambiamento che se chilometricamente non è di grandissima entità, lo può invece rappresentare in termini di ambiente, di abitudini, di intensità di vita, di indirizzo delle proprie volontà in una direzione piuttosto che in un’altra.
Viareggio mi parve d’istinto un microcosmo adatto a suscitare in me queste reazioni legate tanto al fatto razionale quanto a quello squisitamente emozionale e fantasioso. Non sta tradendo le aspettative.
Giovedì 23 giugno 2022
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