di Francesca Camponero
Luca De Fusco nella sua versione del penultimo capolavoro di William Shakespeare, La Tempesta, ha scelto di inserire Prospero in una sorta di biblioteca-museo, in cui si è ritirato dando sfogo alla sua immaginazione. Il tutto all’interno di questa spelonca incantata è sotto il suo controllo ed ogni personaggio è come una marionetta di cui lui tiene i fili. Fatta eccezione per la figlia Miranda, i protagonisti della vicenda agiscono proprio come fossero in trance ed anche i loro movimenti sembrano misurati e stilizzati come quelli di automi.
La originale scenografia di Marta Crisolini Malatesta fa il suo per sottolineare questo fatto al limite dell’onirico con tutte quelle proiezioni sui muri della biblioteca che rendono l’atmosfera sempre sospesa ed irreale. Ma quelle proiezioni sono esattamente ciò che proietta l’animo di Prospero, infelice e turbato dal suo destino avverso, che troverà pace solo con la catarsi del perdono verso chi gli ha fatto tanto male, a cominciare dal fratello che lo ha spodestato del suo ducato.
Nella versione di De Fusco i nemici scorrono su un tapirulan indossando abiti di ogni epoca, palesi citazioni della cultura occidentale, da Re Sole a Salvator Dalì, una scelta interpretativa intrigante, certo, ma di cui francamente non ne si capisce il senso.
La tempesta che” il mago” Prospero genera è la tempesta che ha dentro di sè, che non si placherà se non alla fine quando con l’aiuto del fidato Ariel riuscirà a sistemare tutto secondo il suo volere, facendo anche sposare le figlia con l’erede al trono.
Ma se Ariel è lo spiritello amico, qui è anche il mostro Calibano, che il regista napoletano fa interpretare in doppio ruolo ad una bravissima Gaia Aprea che riesce non solo a cambiare velocemente d’abito, ma anche intonazione di voce passando da un personaggio all’altro indossando una maschera di gomma che sicuramente non le rende il tutto facile.
La piece ha dei tempi dilatati, pur se al testo sono stati fatti tagli sostanziali, e probabilmente per rendere più leggeri i dialoghi sono state intesite scenette in napoletano recitate dai due comici Gennaro di Biase (Stefano) e Alfonso Postiglione (Trinculo) che, come nella storica versione di Eduardo De Filippo, recitano in dialetto. Diciamo però che non si sente mai la necessità di alleggerire i testi di Shakespeare che non sono mai nè noiosi, nè banali.
Eros Pagni è Prospero. In questo lavoro più che mai la sua recitazione è misurata, quasi distante, il che non fa pensare ad una delle sue migliori interpretazioni, se non alla fine quando in un monologo toccante e malinconico richiede al pubblico il consenso per quanto presentato. Come non darglielo con un caloroso applauso...
Lo spettacolo, coprodotto dal Teatro Nazionale di Genova insieme al Teatro di Napoli e alla Fondazione Campania Dei Festival – Napoli Teatro Festival, è al Teatro della Corte con repliche fino al 19 gennaio.
Sabato 11 gennaio 2020
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