di Aldo Carpineti
Ci è stato detto che le conversazioni che presentiamo su queste pagine e che riguardano argomenti del nostro vivere dovrebbero prendere in considerazione oggetti più specifici, essere meno generiche e generali. Certamente rispettiamo questa opinione, che vuole farci intendere, evidentemente, come ciò che tratta tutto in realtà finisce per non trattare nulla. Cerco di spiegarmi. Era opinione diffusa, un tempo, e forse alcuni lo pensano ancora, che tutto è arte. Se così fosse, se l’arte non si distinguesse per nulla e fosse intrinseca in ogni cosa, in realtà finirebbe per non avere più alcun significato, alcuna valenza distintiva. Finirebbe, in conclusione, per non esistere proprio. Certo non è facile dare una definizione di arte, ma identificarla con il tutto ci pare inappropriato ed anche non utile alla causa stessa dell’arte.
Allo stesso modo, e venendo a cose molto più terra terra, può essere vero che i nostri discorsi poco identificativi possono valere per tutto e per nulla allo stesso tempo. Rispettiamo perciò questa interpretazione.
A nostra discolpa, tuttavia, e facendo gli avvocati di noi stessi, ci pare possibile osservare come caratteri generici dell’argomentare non necessariamente coincidano con lo svilimento e la inapplicabilità dello stesso. Ciò nella considerazione che la nostra conversazione non vuole prendere in considerazione singole categorie o addirittura casi individuali, perché in questo caso sarebbe politica. E negli articoli che abbiamo presentato nel recente passato, invece, non ce ne è nessuno che voglia fare politica o, ancor meno, partitica. Più facilmente essi riguardano stati dell’animo, flatus incorporei che nella dialettica trovano la loro stessa giustificazione e il loro modo di essere. Applicarli al reale significherebbe fare altra cosa, parlare di oggetti invece che di concetti, di pratica invece che di teoria.
Perché scriviamo in questo modo, perché di queste cose? Forse perché il nostro cervello è fatto così, si appassiona e si occupa più di quanto è involucro che di quanto è contenuto, lasciando poi agli altri o a noi stessi in altro momento definire gli aspetti più concreti. Con tutto ciò siamo dell’idea che l’una e l’altra cosa ci vogliano. L’esclusiva concretezza potrebbe, è nostra opinione, far perdere di vista l’approccio ai legami che pure ci sono fra tutte le cose, ai famosi nessi che del nostro vivere e delle nostre situazioni sono oggi gran parte. Senza contare che la capacità di astrarre è proprio ciò che distingue il pensiero umano: se noi concepiamo il concetto di tavolo non pensiamo né a quello di cucina né a quello del salotto, né a quello della sala da pranzo, esprimiamo un concetto astratto.
Confidiamo perciò che, al di là delle giustificate osservazioni di alcuni sulla nostra troppa astrattezza, ci stia e ci venga riconosciuta una volontà un tentativo di comprendere motivi comuni che delle cose stesse sono tanta parte e tanto atteggiamento. Non sempre ciò che è di questo mondo cade sotto i nostri sensi: ciò che vi passa attraverso o sopra ha spesso più potere di quanto tocchiamo, ascoltiamo, annusiamo.
Sabato 16 febbraio 2019
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