di Francesca Camponero
Valerio Binasco non finisce mai di stupirci e non sappiamo se in questo c’è la volontà di farlo di proposito oppure è tutto spontaneo. In ogni modo, anche in quest’ultima fatica che porta un altro grosso titolo della tradizione europea sulle scene, si allontana da ogni schema proponendo un don Giovanni in cui al testo originale viene tolto ogni orpello (ammesso che ne avesse) per riportarlo ad un’ essenza concentrata sul personaggio, o meglio sull’uomo.
Nessun damerino manierato, nè malinconico essenzialista nel don Giovanni di Binasco che sceglie Gianluca Gobbi nel ruolo principale, che in effetti tutto ha fuorchè l’essere un dandy o un malinconico intellettuale. Oltre trecentocinquant’anni di storia teatrale buttati all’aria per lasciare spazio ad un’umanità molto terrena che vuole un don Giovanni più simile a Falstaff nell’aspetto e nei modi che ad un cavaliere epicureo. don Giovanni/Gobbi appare come un bambinone “cattivo”, uno che si mette a fare il perfido insensibile più per dispetto che per vera indole. Il suo ribellarsi al padre è più un capriccio che lo diverte che una vera avversità verso il genitore, come il braccio di ferro che osa anche con Dio, di cui afferma non temere il giudizio.
don Giovanni/Gobbi se ne frega di tutti e di tutto, ma il suo vero avversario, quello con cui gli piace di più “fare a pugni” è Dio. Forse proprio perchè di lui non se ne frega affatto. Perchè, se è cosi ateo come professa? Binasco in questo senso lascia una porta aperta facendo intendere che in fondo in fondo un pò di timor di Dio ci sia anche nel corpulento e dissacratore protagonista.
In questa messa in scena è indubbio l’interesse del regista verso la vita quella vera, quella di tutti i giorni, fatta di realtà "terra terra", quella che vuole un teatro in cui si mischiano i dialetti, quella che mette in risalto la figura dell’attore, per come è con ogni sua peculiarità all’interno di un percorso che lo vede come centro dinamico e propulsivo. Per questo don Giovanni/Gobbi nella sua “purezza”, è assolutamente e sinceramente uomo prima che archetipo, in tutta la sua splendida opulenza e tracotanza, ricca di quel linguaggio tipico dei tempi d’oggi.
In questo senso possiamo indubbiamente dire che l’operato di Binasco sia riuscitissimo, si resta un pò più perplessi sulla valutazione generale del lavoro teatrale che ha ridotto ad oltranza non solo uno dei vari testi che raccontano le vicende di don Giovanni, ma non ne ha messo in luce le varie tappe. Una scelta che porta diritti all’ingombrante protagonista, indubbiamente spogliato delle sovraletture che lo hanno soffocato nel corso dei secoli, ma che si sofferma troppo dove non è il caso rallentando i ritmi teatrali per poi correre confusamente su passaggi fondamentali della vicenda.
“No, no, non sarà mai detto ch’io mi penta, qualsiasi cosa accada” dice don Giovanni e penso sia una considerazione anche del regista riguardo a questo sua discutibile versione.
Lo spettacolo sarà in scena alla Corte fino a domenica 27 gennaio, ore 16.
Mercoledì 23 gennaio 2019
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