di Aldo Carpineti
Chi pretenda da sé la perfezione, soprattutto quella nell'apparire, difficilmente incontra l'altrui empatia. Probabilmente perché non corrisponde mai alla realtà del soggetto ma è un modo di presentarsi, nella maggior parte delle ipotesi poco naturale, indotto dal tentativo di sembrare preparato e a posto su tutto ed in ogni occasione.
Chi mostra, senza peraltro esibirlo, il fianco delle proprie limitatezze rappresenta una immagine di sé più spontanea, meno studiata, più fresca e in sintonia con la genuinità del proprio animo. Le certezze, come le incertezze nel rapporto, sono generalmente temporanee, il proporsi è una alternanza delle une e delle altre: se escludiamo una delle due alternative per essere sempre sulle corde dell'altra limitiamo il nostro essere a qualcosa di poco credibile.
Chi voglia apparire perfetto in genere tende anche a mantenere le distanze, perché ciò gli permette un maggior controllo delle situazioni, una difesa più efficace dalle ingerenze altrui. Ma in questo modo fa sì che una gran parte delle sue attitudini al contatto ed all'incontro vadano perdute, generando di conseguenza risultati parziali e spesso insoddisfacenti.
Un antico ingegnere genovese conosciuto nella mia antica militanza in azienda, aveva uno stile definito dai suoi collaboratori con la frase: Chi nu femmu, chi nu tucchemmu, chi nu mescemmu. Un esempio di come il tentativo di non incorrere in imperfezioni generi immobilismo e scarsità di progresso.
Lunedì 24 maggio 2021
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