di Aldo Carpineti
All’indomani della vittoria di Raffaella Paita nelle primarie per le regionali, gli interrogativi, nell’ambito del quadro politico ligure e genovese, non paiono pochi né di poco conto.
Sgombriamo subito il campo dai veri o presunti illeciti che pare si siano verificati in alcuni seggi. La questione pare facilmente superabile attraverso una indagine che metta in chiaro come sono andate le cose e ristabilisca la esattezza dei numeri, che non sembra proprio siano stati stravolti e neppure modificati in termini rilevanti ai fini dei risultati negli stessi seggi né tantomeno nel risultato finale.
Questa prima, immediata grana, se così si vuol chiamare, pare di poco conto e destinata a rientrare in breve tempo e senza troppi scalpori.
Ben più eclatanti sembrano invece le reazioni che il risultato ha scatenato a livello politico e persino in termini di partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni sulla cosa pubblica.
Si è osservato, in primis, che la Paita ha fondato la sua vittoria nelle periferie. Sconfitta da Cofferati a Genova, dove l’ex sindacalista ha fatto il pieno di voti, ha recuperato ad Imperia, a Savona e nella sua La Spezia. Interrogativo comune è se Raffaela Paita potrà governare la Liguria senza detenere né la maggioranza né il polso nel capoluogo. I destini della Liguria si fanno per larga percentuale a Genova, sarà quello delle periferie un sostegno sufficiente? Oppure l’importante è soltanto l’aver superato gli avversari, ed ora che si è insediata in testa alla sua parte politica la vincitrice potrà non far caso da dove vengano le preferenze e andare dritta per la sua strada in forza della propria maggioranza?
Se il brutto tempo si vede dal mattino, però, pare inequivocabilmente vero che i primi problemi vengano proprio da Genova, dalle sue istituzioni e dai suoi rappresentanti politici.
La levata di scudi di Doria e Sansa che hanno interpretato la vicenda in chiave eminentemente politica più che nei suoi ben presenti risvolti amministrativi, pare strettamente collegata alla realtà della Città Metropolitana che ha colorazioni partitiche decisamente più cariche di quelle esistenti in Regione. Che a Doria possa non andar giù di dover fare i conti con un governatore regionale renziano è comprensibile da un punto di vista delle logiche politiche; non altrettanto da quello degli equilibri che si instaurano in questi casi che, a volte riescono a far marciare meglio, anche se sul filo del rasoio, i rapporti attraverso le contrapposte tendenze nei medesimi ambiti di territorio e di gestione. Chi può dire se una classe dirigente tutta gauchiste avrebbe condotto meglio i destini genovesi e liguri piuttosto che un alternarsi fra rosso carico e rosa sottile?
Nel frattempo, a livello di Città Metropolitana e del suo non ancora definito piano regolatore scoppiano le polemiche, anche con proteste di cittadini, a Tursi in special modo riguardo ai temi della Gronda.
Quasi superata o, per lo meno, bene avviata l’annosa questione del terzo valico attraverso l’arrivo dei primi finanziamenti ministeriali, la gronda appare invece un problema ben più difficile da risolvere sul piano delle scelte politiche, e ben lo sa Doria che fino a questo momento non se l’è ancora sentita di prendere una posizione definitiva in merito. Nel tempo ha palleggiato le decisioni a Comissioni di tecnici che hanno saputo sostenerlo nelle conoscenze degli aspetti concreti, geologici e paesaggistici, di quei territori ma che non potevano togliergli le castagne dal fuoco sottraendogli l’onere della decisone finale che, in ogni caso, spetta a lui. Un interrogativo grosso per un sindaco e per un sindaco Sel in particolare.
L’intervento che, nella sua maggiore estensione, interessa spazi compresi tra la val Polcevera, sopra Sampierdarena e la zona di Genova est, in questi giorni è stato persino oggetto di contestazione da parte di cittadini nelle aule comunali, quei cittadini che si vedrebbero espropriati (e sufficientemente indennizzati?) o danneggiati nelle maniere più diverse dalle nuove opere; e di altri contrari per proprio convincimento alla cosiddetta colata di cemento.
Dall’altra parte della medaglia (e cioè delle valutazioni di cui tener conto) sta la parola data dal presidente della commissione europea, il lussemburghese Juncker (che ha recentemente sostituito il portoghese Barroso) secondo il quale lo sviluppo del porto di Genova, a determinate condizioni di investimenti, è uno dei pilastri fondamentali per la crescita economica dell’Europa: ed è ben chiaro che lo sviluppo del porto non può che passare attraverso le grandi opere pubbliche di cui si sta parlando.
Una situazione ingarbugliata un bel po, nella quale potrebbe intervenire con successo proprio Raffaella Paita, forte delle caratteristiche capacità intuitive femminili e della posizione politica di ottimo trait d’union tra le posizioni del tetragono Doria e le non più procrastinabili risposte alle legittime richieste della Ue. E della sua ancor impregiudicata condizione di outsider della politica nazionale e internazionale.
Mercoledì 14 gennaio 2015
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