di Aldo Carpineti
Si può chiedere a un cospicuo numero di dipendenti italiani di trasferirsi ad Amburgo, anzi, nemmeno ad Amburgo, a 200 chilometri da Amburgo?
Questo è quanto sta succedendo alla Costa Crociere, una fra le più radicate aziende genovesi, che già anni fa ha trasferito a Savona il suo scalo principale e, quasi contemporaneamente, ha rinunciato alla propria autonomia entrando a far parte della Carnival Corporation.
Il top della società, accompagnato da alcuni servizi di appoggio, lascerebbe la storica sede di Piccapietra per far rotta per la Germania. Una cosa non da poco per i dipendenti che dovrebbero trapiantasi a migliaia di chilometri da casa, confortati soltanto da un aumento dello stipendio del 10/15%, una percentuale che basterebbe si e no a coprire il maggior costo della vita tedesca rispetto a quella italiana.
Ma al di là dei disagi dei dipendenti, stride in maniera esagerata che una nuova azienda genovese fra le più fiorenti e rinomate, malgrado il disastro della Concordia all’Isola del Giglio, lasci la città e si trasferisca altrove. Un bene che abbiamo sempre considerato di nostra proprietà che si volatilizza nelle sue alte sfere lasciando qui soltanto i servizi meno significativi.
Un nuovo smacco che la città di Genova deve subire.
Senza contare le difficoltà di comunicazione tra Amburgo ed i settori che rimangono in Liguria, primo fra tutti proprio lo scalo di Savona, in questi anni diventato un modello di efficienza ed eleganza. Non è improbabile che, una volta trapiantata la sede, anche gli scali principali diventino germanici e ci vengano lasciate le briciole.
Mercoledì 21 gennaio 2015
© Riproduzione riservata
871 visualizzazioni