di Aldo Carpineti
Quale soluzione a questa malattia dello spirito? Chiedo all'autore una riflessione (quando potrà: mi piacerebbe leggerla) su possibili soluzioni al male oscuro della genovesità.
Fra i commenti ad un mio recente articolo sui mali di Genova trovo questa sollecitazione che mi spinge a riflettere e ad avventurarmi in ipotesi di risposte.
In realtà l'argomento richiederebbe studi approfonditi e comparati che partano da lontano e tengano conto di fattori storici, sociali, politici, amministrativi, caratteriali, geografici e tanto altro ancora... Chi sia in grado di analizzare il problema sotto tutti questi diversi aspetti si faccia avanti e molto volentieri leggeremo la sua diagnosi e terapia. Lo studio delle cause, si sa, è sempre utile ed indispensabile per comprendere e sanare gli effetti.
Personalmente non essendo né uno storico né un politologo e neppure un sociologo azzardo qualche superficiale impressione che potrebbe anche risultare, chissà, per qualche verso azzeccata e utile. Ogni opinione in merito, favorevole o contraria, appare lecita.
In realtà infatti la malattia di Genova parte da lontano. Già nella seconda metà dell'800 il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche che soggiornò a lungo a Genova (abitando in un appartamento di Salita delle Battistine, come testimoniano informazioni raccolte da Aldo Padovano, studioso di vicende genovesi) diceva di amare svisceratamente Genova per il suo passato e di disprezzarla per i suoi cittadini dell'epoca. Vero, dunque, che il problema non ha origini recenti.
Sembrerebbe (ripeto, ad una mia attenzione semplice ed unicamente sulla attualità) che la popolazione genovese sia caduta in una sorta di depressione collettiva. Sembra che uno scoramento abbia preso la maggior parte dei concittadini, facendo loro perdere speranza nel futuro e innescando un loro rifugiarsi in una sorta di cinismo beffardo che preferisce la battutaccia facile alla ricerca della soluzione di problemi difficili. Un atteggiamento involutivo e nichilista che ha preso moda e diffusione in ogni ambiente e strato sociale. Ciò ha finito per generare una mentalità generale. Frequentando i genovesi appare vero infatti che le loro considerazioni sul mondo e sui vari aspetti della vita portino spessissimo a conclusioni rapidamente pessimistiche: l'uomo della strada a Genova ha superato il tradizionale mugugno per dedicarsi a visioni del futuro inquietanti e con poche speranze. Pur riconoscendo le difficoltà del momento, pare un atteggiamento di fondo autolesionista ma ormai radicato ed anche confermato dagli interlocutori in ogni conversazione. Un veder nero, una mancanza di luci che non lascia spazio a riflessioni positive, anzi queste spesso sono prese con ironia e commiserazione.
Ed allora, finalmente, come reagire? Ci vuole una inversione di tendenza che parta dallo spirito, dalla sensibilità positiva di chi ne sia capace e rincuori le aspettative migliori, che sia di conforto alle battute d'arresto, che sia forza nella volontà di perseguire, anche nelle difficoltà, risultati onestamente e legittimamente utili a sé ed agli altri, pur in un realismo di fondo. C'è modo per innescare questo atteggiamento? probabilmente sì. Necessario è l'impegno primario di chi creda in una soluzione e sia capace di diradare le nebbie del malumore, le forze dell'inerzia che si oppongono alla proposta fattiva. Bisogna anche vincere il pudore, a volte il rispetto umano che porterebbero a nascondere il proprio pensiero e, invece, ricercare pian piano risultati al proprio percorso. Una azione che sia capace di rincuorare chi ha abbandonato pensieri propositivi e torni a farglieli germogliare, in definitiva a dare speranza. Bisogna che il pensare cose utili torni ad essere prevalente sul malessere e sulla negatività. Difficile? Certo, eppure necessario, proprio nelle prove impervie si dimostra il proprio valore ed uscendone vincitori si conquista autostima oltre che condizioni di vita oggettivamente migliori: un duplice successo.
Un amore per se stessi che sia risolutivo rispetto alle considerazioni più oscure e che ribalti il disgusto alla vita. Mi piace citare qui una frase del grande musicista Felice Reggio: La musica può fare di un'anima devastata una cattedrale... e così una musica sottile eppure forte, delicata eppure vigorosa può infondere nuova fantasia e infine regalare raggi di sole in animi propensi al ripiegamento e alla rinuncia. La musica può diventare corale e la luminosità invasiva e capace di filtrare ed espandersi per ogni dove.
Le ragioni possono essere tantissime, ed anche imperscrutabili, eppure ciò che ci sta portando alla deriva è proprio e soltanto un atteggiamento mentale. Su questo bisogna lavorare. Devono farlo politici, amministratori, psicologi, sociologi, addetti ai lavori ma soprattutto devono farlo i cittadini di buona volontà: è da essi che l'ambiente avrà in sé la necessaria diffusione di pensiero utile. Chi abbia sensibilità e capacità d'esempio le metta in campo. L'opera professionale è sicuramente indispensabile, soprattutto nelle problematiche più acute, ma in primo luogo questa ripresa e questo risollavemento degli animi dovrà essere opera degli stessi genovesi che siano in grado ed abbiano volontà di farlo. Una terapia dal basso, dunque, per la società genovese una sanificazione che venga dalle proprie forze. E non manca la speranza che ciò possa essere.
Giovedì 17 febbraio 2022
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