La grande ipocrisia della schiavitù moderna. Riflessioni sui lavoratori agricoli irregolari

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migranti, latifondi e capolarato

La grande ipocrisia della schiavitù moderna
Riflessioni sui lavoratori agricoli irregolari

Le condizioni vergognose di questi lavoratori si possono considerare nuove forme di sfruttamento della schiavitù

di Lorenzo Rosini Associazione politica orizzonte

Http://www.operaicontro.it/2019/01/26/il-caporalato-agricolo/
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In queste settimane di lotta al coronavirus, che ha costretto lo Stato ad assumere un ruolo ancora più centrale nella vita dei cittadini, uno dei dibattiti più accesi è stato ed è tuttora, quello sulla condizione dei migranti-lavoratori agricoli irregolari.

Parliamo delle migliaia di migranti, fuori da ogni confine di legalità e tutela, che lavorano in condizione di semi-schiavitù in molti latifondi del Sud Italia. A livello etico, forse la più orribile vergogna che si stia perpetrando attualmente sul suolo italico.

Premesso che non sentirete mai nessuno, neanche il leghista più xenofobo, sostenere di essere a favore di questa situazione, non resterete sorpresi, nell'osservare il dibattito politico, che la soluzione al problema sembri allontanarsi ogni giorno anzichè il contrario.

Analizzando i crudi fatti, si evince che nel paese chiamato Italia, che si vanta di essere una delle grandi potenze democratiche occidentali, con una Costituzione fra le meglio scritte al mondo, avanguardia spesso di grandi conquiste sociali come l'abolizione della pena di morte (Granducato di Toscana 1786), sussiste ancora nel 2020 un sistema di sfruttamento degli esseri umani, dove persone senza diritti si ritrovano costrette a lavorare in sostanziale schiavitù, senza alcuna rappresentanza, in opposizione a qualsiasi legge, fra l'impotenza delle forze dell'ordine e l'indifferenza dello Stato.

Indifferenza che, con ironia tragica, è venuta meno non per qualche improvvisa epifania morale, ma a causa della sensazionale scoperta che non è possibile far applicare le norme di prevenzione e sicurezza sanitaria necessarie alla lotta al virus, in un contesto sommerso di sfruttamento degli esseri umani.
Così come non si potrebbero far applicare in una gilda di ladri, in una bisca clandestina o in un laboratorio di metanfetamine.

Il virus però, nella sua democratica presenza, non fa discrimine tra regolari e irregolari, onesti o disonesti, ma segue solo le leggi della natura.
E per questo, per difendere i cittadini da un contagio che arriverebbe su di loro attraverso gli schiavi dei campi, invisibili per noi ma non per il virus, si è arrivati a questa proposta, all'assurdità legale definitiva: una «regolarizzazione temporanea di 6 mesi»dei lavoratori a nero dei campi.
Un modo carino di dire «la vostra vita ci interessa, nella misura in cui potrebbe avere a che fare con la nostra, ma poi la situazione potrà benissimo tornare alla normalità».
Un modo per rendere ufficiale un concetto, ovvero che la vita di un agricoltore, un servo della gleba, straniero non vale nulla, giusto giusto può venirci utile per 6 mesi, ma poi dovrà tornare ad essere un subumano.

Orizzonte è totalmente contraria a questa mentalità utilitaristica, a questo svilimento della vita e della legge per difendere il tornaconto di qualche schiavista e la serenità elettorale delle forze politiche, spaventate anche solo dalla possibilità di immergere le mani in questa palude.
Ci devono essere regolarizzazione dei contratti e contratti regolari, rispetto di tutte le leggi del lavoro, controlli periodici, pene inasprite per i caporali e gli imprenditori-schiavisti, diritti sindacali e politici garantiti alle persone che lavorano nei campi. Anche a costo di aumentare di qualche centesimo il costo di frutta e verdura, spiace dirlo.

Nascondere la polvere sotto il tappeto può essere uno stile di vita, come no, se uno può conviverci. Ma pretendere di farlo passare pure come un gesto di misericordia, se ci si definisce esseri pensanti, non è il caso di accettarlo.

Mercoledì 3 giugno 2020

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