di Aldo Carpineti
Tu credi che elefanti e topi abbiano un’origine comune? l’ho letto qui, su questo giornale francese.
Aveva atteso qualche attimo prima di pronunciare la domanda, cercando di immaginare quale sarebbe stata la risposta, non avrebbe sopportato il silenzio assoluto. Si erano visti prima sì e no una mezza dozzina di volte né, tra loro, era mai stato facile trovare argomenti e, quando riuscivano a inventarne uno, la conversazione cadeva invariabilmente dopo quattro o cinque parole, senza storia.
Arrigo era un medio parlatore, né muto né chiacchierone, ma con Egle non si incontrava proprio; non per timidezza o cattiva volontà dell’uno o dell’altra, sembrava davvero che non avessero niente da dirsi, i loro mondi apparivano lontanissimi.
Anche tu qui? dopo i primi irrinunciabili convenevoli c’era stato subito un lungo momento di pausa.
Arrigo era arrivato a Parigi in macchina senza compagni di viaggio: in quel momento era seduto ad un tavolino del bar a fianco del campanile di destra di Notre Dame. I loro sguardi si erano incontrati per caso. Lui non aveva potuto fare a meno di indicarle con un gesto della mano la seggiolina in vimini accanto alla propria. Lei si era staccata dalle tre amiche che entravano nella cattedrale, e si era accomodata accanto a lui: se non altro prenderò un po di sole, aveva preferito consolarsi fra sé.
Era un novembre stranamente tiepido e dolce a Parigi, si poteva ancora stare ai tavolini dei bar all’aperto, e la luce batteva sui loro visi. Sette o otto parole in tutto, poi Egle aveva pronunciato quella inconsueta domanda.
Sì certamente, sono entrambi grigi, ed hanno il muso a punta.
Si era figurata esattamente una battuta di questo tipo, non c’era proprio modo di andare più in là, e così scosse la testa e sorrise considerando la confermata coerenza delle loro conversazioni, destinate ad abortire rapidamente. Anche la successiva risatina soffocata di Arrigo era prevista, nello stile della loro reciproca incomunicabilità.
Sarebbe rimasta lì al tavolino non più di qualche attimo ancora, proprio per non sembrare del tutto scortese, poi avrebbe raggiunto le amiche nella cattedrale; chissà quando lo avrebbe rivisto un’altra volta, forse sarebbero passati anni, non valeva neppure la pena di farsene una preoccupazione, lo avrebbe salutato con la mano e un cenno del capo, senza fermarsi; a Genova non abitavano neanche nella stessa zona. Ma vedersi a Parigi era una circostanza troppo singolare, doveva mostrargli almeno un po di sorpresa per quella loro presenza contemporanea lì, sotto Notre Dame.
Bene – disse goffamente lei – ora ti devo salutare.
La fece sussultare la voce concitata di Rossana, che era uscita di corsa da una porta laterale della cattedrale: Egle, Egle corri, Giuditta sta male.
Lei si affrettò; un momento per rendersi conto della situazione; ritornò alla svelta al caffé, chiese al barista di chiamare subito soccorso; un attimo e si udì la sirena della Gendarmerie; una macchina con due agenti trasportò Giuditta al vicinissimo Hotel Dieu, l’ospedale più a portata di mano.
Lunedì 19 novembre 2018
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