di Maria Grazia Dapuzzo
Recentemente sono stata a vedere una mostra su Alberto Burri, uno dei maggiori artisti del Novecento, alla Fondazione Ferrero in Alba.
L'esposizione comprende all'incirca cinquanta opere di Burri, partendo dal 1945 con il suo primo dipinto realizzato durante la prigionia in Texas, nel periodo della Seconda guerra mondiale, sino alle opere dei primi anni Novanta.
Nella mostra sono presenti i primi «Catrami» del 1948 sino alle ultime opere «Oro e Nero» del 1993; il Maestro è scomparso all'età di ottant'anni, nel 1995 in Nizza.
I materiali usati da Burri e presenti nelle opere esposte sono: metallo, plastica, legno, fil di ferro, iuta, stoffa, catrame, muffe, sacchi, combustioni, cretti e cellotex che l'artista di Città di Castello ha utilizzato nel suo linguaggio materico-poetico, simbolo della sua cifra stilistica.
La mostra evidenzia il rapporto tra materia e poesia di Burri, mantenendo come punto fermo la materia, fonte inesauribile di sperimentazione e creatività. Con la sua ricerca Burri ha anticipato molte correnti artistiche della seconda metà del Novecento, come il Nouveau Réalisme, l'Arte povera e l'Arte neuminimale.
Alcuni quadri esposti anticipano l'opera di land art che Alberto Burri ha progettato per Gibellina, il paese siciliano distrutto dal terremoto del Belice nel 1968 «trasformandolo in un simbolo di rinascita estetica».
Per il «Grande Cretto» a Gibellina, Burri utilizza «il cemento bianco per inglobare e trasformare le macerie irrecuperabili della città vecchia in un ideale sudario rivolto alla memoria del tragico evento».
Quest'ultima opera che il Maestro non ha potuto vedere completata perchè è stata terminata nel 2015, dopo la sua morte, è tra le più estese del mondo con i suoi ottantamila metri quadrati di ampiezza.
Martedì 18 gennaio 2022
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