di Gutti Carpineti
A PROPOSITO DI PROVVIDENZA: MIRACOLI DI DIO.
«Vieni e seguimi…» (Matteo 19,21)
«Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?» (Mt. 6, 25-26)
Sto meditando questo capitolo del Vangelo e le parole, «Guardate gli uccelli del cielo…» me le sono ripetute molte volte, in questi giorni. Ho davanti a me l'immagine viva di questa pagina del Vangelo: migliaia di passeri stanno divorando il nostro riso. Abbiamo provato a mettere uno spaventapasseri, macché, niente da fare; anche con la presenza di varie persone non li disturba minimamente: nemmeno volano via; sono proprio come le api, attaccati alle spighe. Ma la mia conclusione è che, se il Signore si è servito del nostro lavoro per dare da mangiare agli uccelli, abbiamo la certezza che altri si preoccuperanno che a noi non manchi niente. Cosa che esperimentiamo ogni giorno, in particolare perchè siamo circondati da tanti poveri.
Sarà possibile infatti che in un letamaio fioriscano i gigli? Sarà possibile che in mezzo al deserto sgorghi una sorgente? Proprio questi erano i miei pensieri mentre una domenica pomeriggio, lontano dal mio abituale ambiente di lavoro, il seminario nel sud del Brasile, andavo verso la chiesetta della favela della nostra parrocchia di S. Rita alla periferia di Rio de Janeiro. Nessun servizio fotografico potrebbe rappresentare la realtà. Attraversata l’Avenida Brasil, a dodici corsie, mi addentro nella favela accompagnato da un animatore della comunità, che mi fa da guida. Unica traccia di vita sono i resti della speranza delusa del Brasile‑ campione del mondo: altrimenti solo segni di morte. Case, casupole, agglomerati di lamiere, di cartone, di tavole; botteghe sporche e strapiene di uomini e donne ubriachi o alticci, giradischi e televisioni a tutto volume. La strada diventa sempre più stretta, fino a due metri, con persone sdraiate lungo marciapiedi, che non esistono, per cui bisogna passare in mezzo al fango causato dallo scarico che esce dalle cucine: ci si imbatte in cani, gatti e ragazzi che tentano di lanciare in alto i loro aquiloni.
In fondo al vicolo appare la chiesetta che è situata in una piazzetta di quattro metri per tre. Dentro la cappelletta mi sento già in casa: quattro pareti con reti alle finestre e tegole a vista nel soffitto, ma mi sento già nel mio. Dall'apertura della finestra della cappella alla casa vicina ci sono quaranta centimetri di spazio, quaranta perchè serve da strettissimo passaggio. In mezzo a tanta drammaticità, forse appunto per sdrammatizzare un pò la situazione, mi ricordo di quella barzelletta di una signora che aveva la lingua tanto lunga, che non doveva nemmeno uscire di casa per fare la comunione. Qui, questa possibilità l'avrebbe chiunque…
La chiesetta era quasi piena: molti ragazzi, giovani, donne, uomini; il nero della pelle privilegiava. C'era anche un gruppo di giovani di una parrocchia vicina, sulla cui maglietta bianca una scritta in azzurro augurava: shalom. Con tre chitarre cantavano a pieni polmoni per coprire il chiasso, le chiacchiere e gli strilli delle case vicine: stavano ripassando i canti della messa. Sentivo che Gesù era luce in mezzo alle tenebre, non solo perchè la luce era scarsa, ma anche perché, se tutta la gente che abitava in quella borgata fosse venuta a messa, ci sarebbe voluto almeno mezzo duomo di Milano. Ma Gesù era disposto a parlare e a offrirsi anche a quel gruppetto lì.
La liturgia della domenica aveva come tema: «Ed erano come pecore senza pastore». Era la Parola di Dio che fotografava quella realtà. L'omelia è diventata subito dialogata a cominciare da chi stava più vicino all'altare: le chierichette. C'è stato però subito un piccolo intoppo perchè queste non sapevano cosa fossero le pecore, ma a questo ero già preparato, perché, in altro luogo, sotto Natale, volevo spiegare cosa era il presepio e, parlando di cammello, tutti pensavano al caramello.
Superato questo inconveniente, riuscivo a mettere a fuoco sempre di più la necessità di più pastori, di più sacerdoti che continuassero la missione di Gesù. Tutto è diventato poi intercessione viva al momento della preghiera dei fedeli. Sentivo che l'ambiente era caldo, che avevo la situazione in mano. È stata una messa interiorizzata, parola per parola. Quello che succedeva fuori non era la vittoria. La vittoria stava lì: Cristo in mezzo agli uomini.
Al momento della pace, tante strette di mani, tra cui, quelle di un ragazzino, volto innocente, speranza del futuro, segno di Dio, che mi dice: «Io sarò sacerdote». Riconoscevo l'efficacia della parola del Signore. Continuando la messa, un'idea si faceva sempre più concreta nella mia mente: non è il Signore che realizza nei cristiani il pensare e l'agire? Così, tra canti e preghiere, la messa volgeva al termine e io esco con una mia domanda un pò fuori dal rituale: «Chi di voi ha sentito oggi nel suo cuore che potrebbe essere sacerdote o religioso venga vicino a me». Si fa avanti il ragazzino della pace. Nessun altro? Si muove una delle chierichette. Coraggio, Gesù vi chiama! Poi …viene uno, viene un altro, viene uno dei chitarristi, viene una ragazza del gruppo dei giovani e vengono altri: sono in tredici. Mi dico basta, perché, se insisto ancora, da qui a poco sono tutti attorno all'altare.
I responsabili del consiglio pastorale si informano su che cosa fare, perchè non sia tutto un gioco. In parrocchia c'è il Club vocazionale, che darà tutto l'orientamento necessario.
Quando esco dalla cappella è già buio. Gesù questa volta è passato nella favela di Rio de Janeiro e ha ripetuto le parole «Vieni e seguimi», che sono anche lo slogan per tutto il Brasile, dove quest'anno è anno vocazionale.
Sabato 27 marzo 2021
© Riproduzione riservata
1018 visualizzazioni