Capitolo XLVII

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Gen 8

Capitolo XLVII

Capitolo Quarantasettesimo

di Aldo Carpineti

capitolo quarantasettesimo

“Ieri sera ho rivisto un vecchio film francese, ‘Vivere per vivere’, con Yves Montand ed Annie Girardot – fece Andrea – mi piace sempre molto, a distanza di tempo il concetto mi trova ancora d’accordo: la vita stessa è la giustificazione del vivere”, e Nicole: “Eccolo lo spiritello.. ! massì hai ragione, la tension des choses à vivre c’est le vrai sens du tout, la tensione delle cose a vivere è il vero senso di tutto”. “La musica è stupenda e Yves Montand rimane uno dei miei attori preferiti” intervenne Giovanna, e poi, rivolgendosi a Nicole: “voi, in Francia, avete una tradizione: Trintignant, Piccoli, Noiret, Depardieu”. “Mastroianni, Sophia Loren et la comédie à l’italienne ne sont deuxièmes à personne, Mastroianni, Sophia Loren e la commedia all’italiana non sono secondi a nessuno, oggi il meglio è Castellitto”. 

“A proposito – disse Luzato ridendo sotto i baffi – mi hanno offerto di fare una piccola parte di insegnante in una soap opera televisiva che gireremo presto a Montecatini”. “Ehi, Andrea, la prendevi alla larga ma volevi arrivare a dirci questo, eh? non negare…” “Dis nous, dis nous, je t’en prie”. “Proprio niente di straordinario, un mio allievo mi ha informato che una troupe cercava aspiranti attori, così mi sono presentato, con un solo provino ho superato le selezioni. Faccio soltanto tre brevi apparizioni, due in una finta aula scolastica che gli scenografi allestiranno alle Terme e, una terza volta, in piazza del Popolo, mentre accompagno l’intera classe in visita alla redazione del Tirreno. Nella fiction più che un insegnante sono un nume tutelare per il mio gruppo di ragazzi, ho la vocazione a dar loro una mano, al di là delle incombenze strettamente scolastiche. Non ci crederete, ma anche con i miei allievi della scuola media mi sono scoperto questa propensione, sicché nel film non faccio altro che recitare me stesso: e pensare che, prima di cominciare a insegnare, i bambini non li potevo neanche vedere, al punto che, agli inizi, avevo molte perplessità sulle mie attitudini a questa professione. A volte, come si cambia…”

“Et bien, c’est comme ça que tu va devenir un grand personnage du cinéma…! ! è così che tu diventerai un grande personaggio del cinema…!” “Chissà che effetto mi farà guardarmi alla televisione”. “Ces soirs la nous serons chez toi, quelle sere saremo a casa tua, non perderemo neanche un fotogramma”. “Ma verremo a vederti anche prima, quando sarai sul set delle riprese esterne”. “Non vi divertirete, le ripeteremo decine di volte.”

L’idea di Luzato di essere verso i suoi allievi non solo un docente ma anche un compagnone adulto non era una fantasia; rientrava ormai nel suo carattere variamente assortito, cangiante secondo le situazioni, questa dolcezza con i piccoli, quelli degli altri però, un po’ uno zio anzianotto, lui che di figli non ne aveva o almeno non gliene si conoscevano. I ragazzi gli volevano bene, lui scopriva con loro di possedere una semplicità che difficilmente gli riusciva di concedere ai grandi e ne otteneva le confidenze. Questo suo ruolo informale, per un verso confortato da fuggevoli, quasi insignificanti soddisfazioni, si prestava, d’altra parte, a pericolose interpretazioni.

Un venerdì, al termine delle lezioni, il preside lo fece chiamare: “Sono stati qui da me i genitori di una sua allieva, professore – gli disse – le parlo schiettamente: hanno lamentato che lei ha avuto attenzioni particolari verso la loro bambina. Capirà che la cosa è estremamente grave”. Luzato spalancò gli occhi e si sentì mancare le forze: “Preside, lei non crederà a queste cose!” “Non ho modo di fare io stesso un’inchiesta disciplinare; girerò tutto alla magistratura. Nel frattempo non intendo sospenderla, perché manca qualsiasi conferma alla versione dei due genitori; lei continuerà a fare lezione, per il momento; l’ho sempre considerata un insegnante molto impegnato oltre che preparato, però ho il dovere di avvertirla: stia attento per lei, per me e per la scuola; comprende che mi assumo una grossa responsabilità, dandole fiducia. Sarà il giudice a occuparsi della vicenda, ma spero che lei ne uscirà a testa alta. Mi raccomando, professore”. Gli strinse la mano.

Andrea, profondamente turbato, percorse a piedi la strada per la stazione con passo più svelto del normale, tenendo lo sguardo basso sotto il suo largo Panama, quasi a evitare che qualcuno gli leggesse in viso tutti i suoi pensieri. Arrivato presto in stazione, gli toccò aspettare il treno dieci minuti più del consueto, durante i quali si chiese con insistenza quale poteva essere la ragazzina che lo accusava; non riuscì a darsi una risposta ma pensò che poche sarebbero state capaci di tale gesto, avrebbe potuto contarle sulle dita di una mano, e nel frattempo arrivò il Firenze-Viareggio; Luzato guardò fuori dal finestrino per tutto il tempo, per non mostrare i propri occhi agli altri viaggiatori, e il paesaggio, monotono di piatta campagna e fabbriche, gli sembrò ancora più insignificante dal solito; sceso a Pescia, come sempre, si diresse verso casa. Ferma a fianco alle barriere di ferro a ‘S’ prospicienti al portone, trovò un’auto della polizia, con tre agenti: “Si accomodi in macchina, professore - disse il più alto in grado – abbiamo l’ordine di arrestarla”. La procedura giudiziaria si era messa in moto in tempi strettissimi, e l’intenzione del preside di non sospendere Luzato dall’insegnamento era rimasta una pia illusione.

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