Capitolo XV

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Dic 7

Capitolo XV

Capitolo Quindicesimo

di Aldo Carpineti

capitolo quindicesimo

Fu tuttavia uno sforzo grandemente sofferto quello che Roberto dovette compiere, il mattino del sette gennaio, per ritornare a scuola. Soltanto la promessa di Valentina e Luca di aiutarlo e di essergli vicini gli fece riprendere la via per il Lorenzini. Lui stesso si chiedeva che cosa gli fosse capitato: la sua prospettiva nei confronti del mondo era cambiata; ogni cosa da fare gli sembrava un ostacolo insormontabile e gli costava una fatica prima sconosciuta. Era sparita del tutto l’allegria, la voglia di ridere e divertirsi, si sentiva a disagio sia con se stesso sia con gli altri, e ciò gli procurava difficoltà nel rapportarsi con il mondo esterno, anzi da esso gli pareva di essere escluso; non sapeva dare una linea logica e coerente al proprio comportamento, era sospettoso, di conseguenza i suoi atteggiamenti erano spesso poco razionali e non venivano compresi da chi si trovava ad avere a che fare con lui. Molti lo considerarono uno strampalato ed un antipatico ed egli ne soffrì ulteriormente. Lo psichiatra gli confermò che la strada era lunga e gli spiegò che doveva condurre la sua vita secondo il maggiore impegno; quello era il modo per venire fuori dalla sua situazione: attenersi strettamente alla terapia farmacologica e operare nella direzione della propria coscienza e della legittima soddisfazione. “Esercita il coraggio nelle cose di tutti i giorni, pur rimanendo nei limiti della ragionevolezza – gli disse – tanto nell’affermazione di te quanto nell’umiltà; rispetta te stesso e gli altri; addestra il tuo animo a vivere l’autenticità, coltiva l’attesa e riconosci la tempestività, fai ogni cosa con accuratezza, con gusto, non cedere alla grettezza e al tirar via; studia ciò che è giusto e ciò che non lo è: questo sarà il tuo investimento, ne avrai ritorni centuplicati; la miglior cura sarà la tua vita, potrà essere più faticosa di quella di altri, ma certo non meno significativa: quando la grande esperienza della tua vita di paura se ne andrà dalla paura mi darai ragione”. Ma queste parole Roberto le avrebbe capite soltanto più tardi, anche se in tempo per poterne fare tesoro. Per il momento si intestardì in comportamenti personali che lo condussero, nell’immediato, a delusioni ancora più frustranti.

Anzi, il persistere dei malesseri di cui soffriva il ragazzo, che avrebbe preteso di risolvere tutti i problemi di punto in bianco, provocò in lui una sorta di insofferenza e di smania, quasi un tentativo di uscire fuori da se stesso; entrò insomma in una spirale che finì per esaltare le sue qualità più negative, che fino a quel momento quasi non aveva neanche mai riconosciute come proprie. Nessun comportamento incosciente o pericoloso o, men che meno, criminale, ma neanche la più elementare attenzione alle normali convenzioni civili nello scambio interpersonale. Si sarebbe detto che volesse gridare al mondo la disperazione del suo malessere. Il dialogo con gli amici ed anche con suo padre, quando pur gli era possibile intrecciarne uno, divenne amaramente sprezzante, benché questo procurasse sofferenza a lui più ancora che agli altri; il rapporto con Valentina era rimasto in piedi soltanto per il coraggioso tentativo di lei di offrirgli la sua amicizia; le assenze da scuola si moltiplicarono, spesso abbandonava l’aula con la giustificazione, vera o falsa, di sentirsi male. Purtroppo non passò molto tempo che i suoi disturbi allargarono il loro spettro e cominciò anche a soffrire, prima in forma lieve, poi in maniera sempre più insistente, di vere e proprie crisi di panico, durante le quali si sentiva paralizzato da un terrore prolungato che sembrava ogni volta diverso e meno sopportabile ed al quale non sapeva dare una motivazione nel reale: in tali circostanze, non gli riusciva di fare altro che coricarsi nella propria camera ed attendere passivamente che questo stato d’animo sconvolto si risolvesse; ma, pur in queste condizioni di riposo, spesso il disagio persisteva anche per diverse ore. Come una spera di luce in mezzo al buio, solo atteggiamento positivo nei confronti della malattia, Roberto non trascurava mai di assumere diligentemente i farmaci prescrittigli, e questo lo salvò da problemi ben più gravi, che gli avrebbero impedito ogni forma di vita sociale.

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