Capitolo XXII

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Dic 11

Capitolo XXII

Capitolo Ventiduesimo

di Aldo Carpineti

capitolo ventiduesimo

In un pomeriggio innaturalmente caldo, di vento a carattere tifonico e pioggia temporalesca battente e continua, mentre le gocce d’acqua, grosse come acini d’uva, si schiantavano con un rumore irreale, dopo un percorso obliquo, sulle tegole di Pescia, “c’è il sig. Olmo al telefono – disse la segretaria dello studio Crespi al giovane avvocato Renzi – lo passo a lei?” “No – rispose Renzi – aspetti il dominus, Olmo è un suo amico personale, meglio che gli parli lui direttamente”. Poco più di un quarto d’ora dopo sopraggiunse da fuori, direttamente senza passare da casa, l’avvocato Giorgio seminzuppato d’acqua; appoggiata con cura la giacca ad asciugare sullo schienale di una sedia, con l’usuale meditata accuratezza prese visione dello stato degli atti in sofferenza, dopodiché la segretaria gli presentò l’elenco delle telefonate ricevute in sua assenza; pur essendo il nome di Olmo quasi in fondo alla lista redatta in ordine cronologico, Crespi lo chiamò per primo.

“Dimmi, Federico, in che cosa posso aiutarti?” “Sono dentro fino al collo in una brutta faccenda – disse Olmo, con voce che tradiva l’agitazione – abbiamo venduto un’azienda vinicola per conto di una persona che ora risulta non avere le carte in regola. Questo bel tomo si è dileguato ed io sono inquisito per truffa, insieme a lui che è sparito nel nulla. A Montecarlo è arrivato da Milano, come una palla da schioppo, un certo sig. Ancelli qualificandosi come il legittimo titolare: ha detto che si è messo in ansia da quando non ha più ricevuto i report sull’andamento aziendale; qui non solo non ha visto questo Boscolo, che svolgeva le mansioni di direttore, ma ha avuto la sorpresa di trovare degli sconosciuti al suo posto. Evidentemente Boscolo, che da tempo conduceva l’azienda per conto di Ancelli, ha avuto buon gioco a manomettere le carte, spacciarsi per proprietario e intascare la cospicua contropartita della vendita. Come se non bastasse, Ancelli crede che io abbia dolosamente favorito Boscolo nell’operazione e si è già costituito parte civile contro di me”. La pioggia continuava a battere sui vetri dello studio legale, come ad aggiungere insistenza all’invocazione di Federico: “Sai, Giorgio, io non sono abituato ad avere problemi con la giustizia, è la prima volta che mi capita una cosa del genere, mi metto nelle tue mani”. “Non ti preoccupare – lo rassicurò l’avvocato – se ho ben capito siamo ancora alla fase preliminare delle indagini, e non dovresti essere soggetto a provvedimenti restrittivi della libertà personale. Verremo a capo di tutto prima di quanto tu possa sperare”.

Crespi si mantenne in contatto con Olmo mentre, da una parte, seguiva gli sviluppi del procedimento e, dall’altra, cercava di scoprire che fine avesse fatto Boscolo. Attraverso un lavoro certosino, nel quale gli diede una grossa mano Renzi, controllò tutte le partenze degli aerei da Pisa e da Firenze, per qualsiasi destinazione, nei giorni immediatamente successivi alla conclusione dell’affare, ma non ne sortì alcun risultato. Uguale esito negativo ottenne chiedendo informazioni alle agenzie turistiche delle due provincie di Lucca e di Pistoia che avevano abilitazione a emettere biglietti di viaggio.

Pur rendendosi conto che nell’annunciato trasferimento di Boscolo in Puglia ci poteva essere ben poco di vero, Crespi si mise in contatto con l’Assessorato alle risorse industriali e agrarie della Provincia di Lecce, per sapere se in quelle zone avessero recentemente dato inizio ad attività coltivatori e produttori di vino venuti da fuori; ma gli risposero che, in tal senso, non c’era niente di nuovo. Seguì per un paio di giorni un’altra pista, essendo venuto a sapere di un Francesco Boscolo transitato per un albergo di Trieste; ma la traccia si rivelò ugualmente inconsistente, si trattava soltanto di omonimia. L’uomo sembrava essere riuscito a far perdere ogni traccia. 

Dall’ultimo episodio però l’avvocato Crespi ebbe l’idea vincente. Considerato che nome e cognome dell’uomo dovevano essere reali e non di fantasia, perché gli operai dell’azienda vinicola di Montecarlo lo avevano sempre sentito chiamare così, anche tanti anni prima, quando il colpo non poteva presumibilmente ancora essere nei progetti, Crespi si domandò in quale città il cognome ‘Boscolo’ fosse più diffuso; ed ebbe l’informazione esatta che tale patronimico è tipico di Chioggia, cittadina lagunare non lontana da Venezia. Poteva essere la pista giusta. Da una ricerca sulle pagine bianche di Chioggia trovò moltissimi Boscolo, ma nessuno accompagnato dal nome di battesimo ‘Francesco’ o ‘Frenz’. Però ripetendo all’aeroporto di Venezia il paziente lavoro fatto da Renzi ai computer di Pisa e Firenze, venne finalmente a sapere che l’uomo era salito proprio in quei giorni su un aereo per Parigi e da lì su un altro per la Martinica, isola caraibica delle Antille. Boscolo, presumibilmente, aveva raggiunto in auto o in treno la provincia di Venezia, dove poteva contare sull’appoggio di famigliari, e si era poi imbarcato sui due voli con coincidenza per oltre oceano.

Arrivato a questo punto delle indagini, Crespi trasmise le informazioni all’autorità di polizia italiana, che si coordinò con quella dell’isola. La piccola estensione della Martinica favorì la ricerca: Boscolo venne presto rintracciato in un lussuoso albergo della fioritissima Fort de France, il capoluogo, e rapidamente rispedito in Italia; stava progettando di trascorrere lunghi periodi anche in Guadalupa e nelle Grenadine ed era in trattativa per acquistare una piccola imbarcazione a vela; a vogare su un gozzo incrostato di salmastro si era rotto la schiena in gioventù, adesso il suo sogno di godersi i trenta gradi invernali delle spiagge tropicali con una ragazza creola sulle ginocchia era già svanito; Frenz non era certo tipo da compagnie e divertimenti, eppure, fin dai suoi anni giovanili, si era innamorato di questa idea e ne aveva fatto il mito di tutta la sua vita.

Davanti al Tribunale di Lucca, messo a confronto con Ancelli, Boscolo non ebbe modo di negare la realtà, né ebbe ragione di continuare a coinvolgere nella vicenda Olmo, che ne uscì completamente scagionato e ricevette pubbliche scuse da Ancelli. Questi, nella considerazione che la situazione si era ormai consolidata e che la ConteVini aveva acquisito l’azienda in buona fede, non avanzò pretese restitutorie; recuperò il ricavato della vendita, salvato in gran parte dalle ingordigie di Boscolo e, in più, ebbe un equo adeguamento del prezzo al reale valore della proprietà che Frenz aveva quasi svenduto pur di realizzare alla svelta. Dopo questa esperienza comune, Federico e Giorgio si proposero di tener viva l’amicizia, le due famiglie si incontrarono; né vennero lasciati da parte Roberto e Nicole, che intanto aveva ripreso a fare la spola fra i negozi di Pescia e Viareggio e manteneva uno stretto rapporto con Giovanna. E proprio le signore furono le più assidue nel coltivare fra loro un legame saldo e continuativo.

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