Capitolo XXIX

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Dic 20

Capitolo XXIX

Capitolo Ventinovesimo

di Aldo Carpineti

capitolo ventinovesimo

“Ciò che ci conviene fare è preparare il nostro avvenire attraverso la vita attuale. Se tu scaverai in profondità nella tua psiche, incontrerai, oltre i significati del vissuto, le sfere della tua vita futura, e sarai in grado di predisporla a priori”. Così diceva Luzato a Nicole che lo guardava con gli occhi sgranati”. “Se - continuò il professore – riusciamo a sviluppare oggi quel che ci siamo abbondantemente preparati nella nostra vita trascorsa e, contemporaneamente, disponiamo delle doti per farci vivere utilmente dagli altri… les jeux sont faits!” rise, scimmiottando la parlata di Nicole, che non capiva se son copain scherzasse o no, ma accettava di buon grado questo giocare sull’equivoco; non le dispiaceva sentirsi nelle mani del suo uomo, subire questa dolce violenza, docilmente lasciarsi andare a lui che ne disponeva un po’, anche nella sua psiche. Nicole sapeva affidarsi, abbandonarsi, arrendersi, per questo era una gran donna, aveva la capacità di concedere fiducia estrema, di aderire all’altra persona fino quasi a perdersi in essa, senza esserne sconfitta. “Se avremo davanti a noi una strada già percorsa – riprese Andrea, e questa insistenza confermò a Nicole la convinzione che non la stava prendendo in giro – potremo contare sull’esperienza, non solo come qualità generica, ma proprio come qualcosa di già vissuto nello specifico, a livello di emozioni: credo di non sbagliare dicendo che abbiamo dentro di noi il ricordo di quello che avverrà. Ognuno di noi vive del proprio passato e in funzione del proprio futuro: il presente non esiste, il tempo che arriva è già quello che va; oppure si può dire che tutto è presente: questi due assunti opposti sono la stessa cosa, due aspetti o due facce, se preferisci, della stessa medaglia. Tutta la realtà è così, è il senso della nostra relatività, della nostra finitezza, per usare un termine più vicino a interpretazioni confessionali”. “Dis-moi, cettes idées sont originairement à toi ou tu les as lues sur quelque livre? queste idee sono tue o le hai lette sui libri?” domandò Nicole che, pur avendo una laurea in fisica e un paio d’anni di assistentato universitario, non riusciva ad inquadrarle in nessun sistema scientifico. “Sono il frutto di pochi libri e di molta meditazione yoga; non posso esser certo che domani non cambierò opinioni ma, a questo punto della mia evoluzione introspettiva, mi par di capire, di me e della vita, proprio le cose che ti dico”. Nicole giudicò con favore questa apertura di Andrea a riconoscere la soggettività del proprio pensiero e il buon diritto altrui ad esercitare una critica su di esso, e lo considerò un segno di equilibrio e di maturità intellettuale e fu per lei, in ogni caso, una rasserenazione. “Quando parlo di questi argomenti – concluse Luzato – la gente crede che io abbia la testa fra le nuvole o peggio; invece non faccio altro che domandarmi quale sia l’essenza delle cose; non manco di razionalità per questo, anzi è vero proprio il contrario: razionalizzo anche la materia che per definizione è meno riconducibile a schemi”.

Era mezzogiorno e Linda aveva versato un aperitivo nei loro bicchieri; Susanna, che funzionava da supporto alle altre ragazze nelle ore centrali della giornata, stava servendo un gelato a due temerari che sfidavano le ire di un momento quasi siberiano di quell’inverno. “Il freddo fa bene – disse lui – ammazza i microbi”. “Speriamo che non ammazzi anche noi” fece eco la consorte. Luzato sorseggiava il suo Negroni, Nicole un calice di spumante secco: in quel momento entrarono Giovanna ed Angela che venne presentata al professore, Nicole invitò Andrea e le due donne a darsi anche loro del tu; sedutesi, Giovanna chiese a Linda qualcosa di poco alcolico, Angela altrettanto, Linda servì due Aperol con una fettina d’arancio e zucchero sul bordo del bicchiere. Angela, per la sua diversa formazione e il suo ambiente di vita, era in grado di portare argomenti nuovi alle conversazioni che si sviluppavano abitualmente a quel tavolino; accennò ai problemi della montagna pesciatina, sofferente della mancanza cronica di servizi e del conseguente abbandono da parte delle popolazioni: “Il dibattito sul mantenimento delle scuole elementari in quelle zone, tanto per fare un esempio – fece notare Angela - si presenta di difficile soluzione: per certe categorie di residenti la presenza della scuola in loco è indispensabile, altri preferiscono mandare i figli negli istituti cittadini: è sproporzionato ed antieconomico tenere in piedi intere strutture per pochissimi alunni, considerando i costi del personale, di manutenzione e pulizia; eppure, chiudendole, si finirebbe per mettere a rischio la frequenza scolastica di questi ragazzi. Ancor più perché è scomodo dipendere dai mezzi pubblici, soprattutto per la linea di Panicagliora, che ha transiti scarsamente frequenti”. “Alcuni di questi borghi – aggiunse Nicole – non hanno un negozio di alimentari e non vengono raggiunti dalla distribuzione dei giornali. Non sarebbe possibile dotarli di esercizi che spaccino generi di prima necessità? Lo spopolamento ha molte cause, questa è certamente una”. Anche Giovanna portò il proprio contributo: “Da Vellano mi sono mossa negli altri centri, le cosiddette ‘Dieci Castella’; ho notato che, per fortuna, le zone piacciono molto agli stranieri, soprattutto tedeschi e inglesi, che ristrutturano vecchi ruderi e ne fanno le loro residenze estive o persino permanenti: loro non vanno in cerca di comodità, gli basta l’amenità del paesaggio, e il risultato finale di questi loro interventi di risanamento, oltre ad essere confortante ai fini della conservazione degli abitati, è, di solito, più che pregevole dal punto di vista artistico ed estetico”. “Non credere che i residenti non siano attaccati ai loro borghi – riprese Angela – il fatto è che oggi la vita richiede facilità di spostamento e comunicazioni agevoli; una strada di montagna sotto la pioggia non si fa a cuor leggero, soprattutto di sera”.

Andarono avanti ancora un pezzo: Angela prendeva le parti degli abitanti della Svizzera Pesciatina, Giovanna insisteva nel dire che i trapiantati potevano rappresentare la spontanea panacea per tutti i mali, Nicole cercava di capire le problematiche buttate sul tappeto dalle altre due e di individuare soluzioni ad hoc: “Se le poche industrie che ci sono, le cartiere in primo luogo, potessero far conto su strade migliori, se ne avvantaggerebbe tutta l’economia locale” diceva. “Sì – ribatteva Angela – ma ne perderebbero il paesaggio e l’ambiente, che sono tanta parte della nostra montagna”. Luzato era rimasto sempre in silenzio, attento ascoltatore, evitando di interrompere; a farsi sentire ci pensò il suo telefonino che prese a suonare ‘Toreador’; Andrea rispose alzandosi dal tavolino, si sarebbe detto che parlasse con il suo preside; alla fine, dopo aver spento il cellulare, disse con voce atona e uniforme: “Domani devo sostituire per due ore un collega in una materia che non è la mia: ho bisogno di andare a preparare le lezioni”. Ordinò un secondo giro di spumante per tutte, strinse le mani destre e, non visto dalle altre, con la punta delle dita sulle labbra, mandò un bacio a Nicole; passò alla cassa e uscì. Linda girò due volte attorno al tavolo, riempì i calici versando il prosecco da una bottiglia stappata al momento e rabboccò quelli calati di volume.

Nicole si rivolse con un pizzico di apprensione ad Angela: “Be’, che ne dici del professor Luzato? lo trovi simpatico?” “Simpatico? non so, è stato silenzioso per tutto il tempo, mi ha dato l’impressione di essere un sornione - rispose lei, ma aveva un sorriso compiaciuto - …. ho bisogno di una seconda occasione per valutarlo - e continuava a sorridere – di certo è un bell’uomo, questo sì, un bel tipo, non ci sono dubbi: ve lo ricordate il Sandokan televisivo? vorrà dire che bazzicherò di più il Centrale così potrò anche sentirlo parlare… una cosa alla volta, no?” il suo sorriso si fece ancora più aperto, le appariva chiaro come il sole che Nicole aveva preso almeno una cottarella per lui e fra i due c’era già un’intesa. 

“Mes amies – disse Nicole, accorgendosi che c’erano ormai ben pochi segreti da nascondere, ma con lo spirito di chi finalmente partecipa al mondo intero una confidenza già troppo a lungo tenuta per sé - non ci potrebbe essere occasione migliore di questa per mettervi al corrente: moi et André nous avons une histoire! fra me e Andrea c’è una storia”. “Sornione, dicevi Angela? – se ne uscì con un risolino Giovanna – più che sornione direi marpione….” Nicole provò un forte senso di fastidio che la sua gola somatizzò chiudendosi per un istante, portò con gesto rapido il bicchiere alla bocca e inghiottì con studiato controllo un lungo sorso di spumante per avere il tempo di recuperare la compostezza del viso e atteggiare i muscoli facciali ad una espressione accettabile. “Cosa vuoi dire? spiegati.” chiese decisa madame. “Tu sei generosa, addirittura prodiga, Nicole, nel dispensare il tuo affetto – le disse Giovanna - troppo impulsiva. Così misurata e propensa a mediare le angolosità di tutti gli altri, quando si tratta di mettere in gioco te stessa non ci pensi neanche un minuto. Io conosco poco il professor Andrea Luzato, ma conosco bene te e, da amica, mi permetto di dirti di stare attenta; non voglio fare l’uccello del malaugurio, non ci penserei nemmeno, ma vacci cauta, non buttarti a capofitto in una partita al buio, mi dispiacerebbe che qualcuno se ne approfittasse”. Nicole si era aspettata dalle amiche parole complimentose, convenevoli zuccherini, mai più avrebbe pensato che una delle due le leggesse la vita rifilandole un predicozzo pas demandé, per di più a muso duro. “Mais pourquoi tout ça? Je ne suis plus une jeune fille!” mormorò senza che le sue labbra serrate riuscissero a frenare del tutto le parole. Intervenne provvidenzialmente Angela: “Be’ be’, cara, tu sei la prima conoscitrice di te stessa, sai come condurti, non c’è bisogno che ti si insegni noi quel che devi e quel che non devi fare - alzò di un tono la voce e si felicitò - auguroni, carissima, sono proprio contenta per te” e l’abbracciò stretta. Nicole perse per un attimo il dono della parola, Giovanna in due sorsi finì il suo prosecco, disse sottovoce un conclusivo “statemi bene”, si infilò la mantellina color cenere bordata di rosso e i guanti di colori intonati; stringendosi nelle spalle, arricciò i lineamenti del volto, il sorriso e gli occhi particolarmente, in modo da offrire un’espressione poco decifrabile e, come se non avesse tempo da perdere, andò via di corsa senza dire quale urgenza la preoccupasse.

Dopo qualche secondo di silenzio che sembrò eterno, a Nicole che la guardava con aria stupefatta e interrogativa, Angela propose l’ipotesi più facile, sperando suonasse plausibile: “Che vuoi che ti dica, una giornata storta della nostra amica, non posso pensare diversamente, non mi so spiegare altrimenti un atteggiamento così bacchettone da parte di Giovanna. Conviene che tu non ci pensi più; sicuramente le passerà presto; domani sarà la Giovanna di sempre, vedrai”. “Sì, penso che tu abbia ragione, ma ci sono rimasta male; grazie, Angela, sei molto cara, merci, ma chère Angelà, è ora che io vada in negozio” fece Nicole senza nascondere un’aria abbacchiata ma poi, riprendendo verve nel volger di un batter di ciglia: “vediamoci!” disse illuminandosi di nuovo, “je t’attend en boutique, quand tu veux… je te ferai choisir la robe la plus belle, ça sera mon cadeau pour toi, ti aspetto in boutique, ti farò scegliere il vestito più bello, sarà il mio regalo per te.” ‘Come al solito, una generosità di getto’, avrebbe commentato Giovanna; ma Giovanna stava già posteggiando di fronte al Palagio

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