Capitolo XXVI

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Dic 14

Capitolo XXVI

Capitolo Ventiseiesimo

di Aldo Carpineti

capitolo ventiseiesimo

Come risultato, la sorpresa li fece sentire presi da una superficiale insicurezza, ma diede loro più spontaneità del solito. Andrea, avvertendo l’ostilità pur non dichiarata di Giovanna, le si mostrò accomodante; Nicole faceva di tutto per ricucire un rapporto soddisfacente tra i due. Giovanna quasi non parlava. Ma, alla fine, chi tolse le castagne dal fuoco prendendo il bandolo di un discorso filato fu ancora Luzato. Giovanna, che si sentiva scomoda al centro dell’attenzione, per venirne fuori sparò una domanda priva di sfumature diplomatiche e senza collegamenti con l’innocuo botta e risposta che stavano conducendo: “Non ho capito, professore – così Giovanna disse ad Andrea - come lei si collochi politicamente”. Il quesito sembrava nato come un fungo in mezzo a un prato; ma Andrea non chiedeva di meglio.

“Sono per un libero mercato corretto – fu il suo preludio – amo la libertà in ogni manifestazione umana, ed anche un’economia fondata sulla libera iniziativa. Però sono convinto che non si possa fare a meno dello stato sociale; credo che sanità, scuola, pensioni debbano essere prevalentemente pubbliche: investono interessi primari che tutti hanno necessità non rinunciabile di soddisfare, troppo importanti per lasciarli alle intemperanze del mercato; in questi settori all’iniziativa privata non devono andare esagerati finanziamenti pubblici che è meglio, piuttosto, indirizzare alla ricerca. Trovo inoltre opportuno un controllo sulle vicende delle società di capitali che preveda grande severità in caso di falso in bilancio e mi sembra necessaria anche un’attenzione istituzionale ai monopoli di fatto e alle posizioni dominanti nella concorrenza. Il partito che mi dia queste garanzie è il mio partito, indipendentemente che appartenga a uno schieramento o all’altro. Mi considero un liberale di sinistra: non vi stupisca l’accostamento, il liberalesimo è una categoria dello spirito, non dell’economia né tantomeno della politica; altro è il liberismo”.

Il discorso pareva quasi un’elencazione programmatica tanto era globale e, al tempo stesso, ridotto all’osso, ma non c’è dubbio che chiarisse a sufficienza il pensiero di Luzato. Giovanna, stavolta, non aveva perso per strada il suo modo risoluto: “Non sono d’accordo; per mantenere un apparato del genere si manda a bagno il paese. Lo dicono a destra e a sinistra che l’INPS non ce la fa più. Queste strutture vanno snellite, la parola d’ordine dev’essere ‘privatizzare’; il medico pietoso manda in cancrena la ferita”. Nicole, per parte sua, continuava a cercare una mediazione: “In Francia c’è più spazio per il privato, ma la funzione pubblica è ugualmente molto presente: va ricercato, di volta in volta, un attento equilibrio fra le due diverse forme di intervento”. Malgrado la scolasticità delle esposizioni, ciascuno disponeva di un proprio sicuro convincimento personale.

In quel momento, entrò l’avvocato Crespi che si diresse verso sua moglie; lei gli presentò Luzato, con il quale scambiò due parole: entrambi si dissero onorati di essersi finalmente conosciuti; poi l’avvocato ricordò a Giovanna che, quel pomeriggio, alla scuola di Valentina, in Valchiusa, una psicologa incontrava i genitori tenendo una conferenza sulle tematiche dell’età evolutiva. “Andiamo, tesoro? Ho qui fuori la macchina, sarà meglio avviarci”. Crespi prese di corsa un decaffeinato, che gli fu prontamente pagato da Luzato, ringraziò disse “a presto cara” sorridendo a Nicole, ed i due coniugi uscirono rivolgendo un saluto affettuoso alla signora Carla e a Elena.

Nicole e Andrea si ritrovarono così fatalmente ancora a tu per tu; e la circostanza parve non dispiacere a nessuno dei due. Grazie a dio non c’era più ombra di tutte quelle preoccupazioni e strane paure che avevano accompagnato i debutti dei loro incontri precedenti. Luzato propose una cena insieme; senza bisogno di ballottaggi, elessero per la serata il ristorante Monte a Pescia e furono unanimi anche su un menù saporito da una piccola scelta di crostini alla toscana, carni alla griglia, patate arrostite e Chianti classico; Nicole gustò particolarmente i crostini con paté di fegato, che a casa non riusciva a fare così buoni, e Andrea le carni miste accompagnate da spinaci saltati; dell’acqua naturale rimase la caraffa piena, per quanto fatta portare a inizio pranzo: dopo il Chianti, era andata via tutta, invece, la bottiglia di un Barolo del Monferrato che alle papille gustative dava un senso di velluto, stupendo con le carni abbrustolite. Nel momento della conferma della prenotazione, avevano aggiunto verdure crude in grande quantità e fantasia, torta coi becchi e vin santo. Nicole aveva lasciato Roberto ad Angela senza troppi sensi di colpa, perché la signora Olmo era una gran cuoca, e Luca poteva tenere buona compagnia a ‘son petit’; e poi, che diamine, anche maman aveva ben diritto ai suoi svaghi….

Albeggiava: il passaggio di infrequenti automobili o l’eco ovattata di antelucane contundenze degli attrezzi di un artigiano che aveva riposato solo un paio d’ore non riuscivano ancora a sfilacciare l’incantesimo di silenzioso torpore che la notte persisteva ad inventare, soffiandolo come un vetro opaco, con delicata abilità. Poi sottili, taglienti raggi di sole filtrarono tra una persiana e l’altra preannunciando, indiscreti, l’imminente sopraggiungere della luminosità del mattino: Andrea e Nicole erano abbracciati nudi, ancora sonnacchiosi, pigri e beati nel letto di ferro decorato di foglie e fiori della casa mignonnette di lui, in viale Marconi. Lui le diede un bacio sulla fronte e la strinse ancora più a sé, tenendole il braccio destro attorno alle spalle; lei si raggomitolò contro il suo corpo, rimase così per qualche minuto, poi si stiracchiò, gli occhi ancora semichiusi, soddisfatta per il piacevole risveglio. Avevano passato una notte d’amore emozionante ed indimenticabile: a Nicole era sembrato di conoscere da sempre Andrea ma, al tempo stesso, di scoprirlo ora momento per momento, come un antico amante platonico che si rivela d’improvviso in tutta la sua sessualità; per Andrea, madame era una chicca preziosa, donna di miele delle api e del sole della Francia mediterranea.

Il Provveditore agli studi aveva stabilito che quel giorno facesse parte del numero di vacanze aggiuntive rispetto a quelle istituzionali. In Liguria poteva essere un altro giorno; e in Emilia un altro ancora, ma in Toscana era proprio quello, così ad Andrea nessuno avrebbe trovato da ridire se avesse voluto restarsene a letto anche tutta la mattinata. Accennando uno scherzo confidenziale, prese per un braccio Nicole, che si era seduta sul letto e gli presentava due spalle esili ma diritte e una schiena sensuale, stretta in vita a triangolo, e teneva rovesciata sugli occhi abbassati una piccola cascata di capelli biondi: “Che fretta c’è, bonbon?” le disse lui, gustando l’eternità di quel momento; la tirò verso di sé e le fece perdere l’equilibrio e scivolare divertita sul fianco, accanto a lui, il seno contro il suo omero: lui aveva un torace largo, coperto di una peluria scura che disegnava attorno ai pettorali due cerchi a spirale, come i manici di certe lucerne antiche: la testa di lei vi trovò un naturale giaciglio. Si amarono ancora, giocando come due ragazzi felici che hanno voglia di ridere, nella freschezza ilare del mattino.

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