Capitolo XXXIII

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Dic 26

Capitolo XXXIII

Capitolo Trentatreesimo

di Aldo Carpineti

capitolo trentatreesimo

Uscendo dal Caffè, Nicole e Andrea vennero fermati da un giovane vù cumprà, con la pelle cioccolata al latte, che portava legate fra loro, in tutte le maniere possibili, una decina di borse taroccate di Louis Vuitton: dopo una breve immancabile contrattazione, Nicole acquistò un borsellino nella classica tinta senape de Dijon e con le due lettere ‘LV’ in corsivo maiuscolo. “Da dove vieni?” gli domandò, “dal Marocco atlantico, Ouarzazate”, rispose lui. “Un posto stupendo – disse madame, che ricordava giovanili escursioni in jeep e tenda canadese - le suggestioni del deserto roccioso non lontano dalle spiagge di Agadir. Allora parli francese?” “Bien sur” fece il ragazzo, “Très fort! – esclamò Nicole - écoute-moi, est que tu peux procurarmi a buon prezzo una piccola fornitura di Louis Vuitton autentico?” “on peut l’essayer, si può provare”. “Chissà, potresti diventare mio fornitore abituale; vieni domani mattina nel mio negozio, è qui a due passi, vedi l’insegna ‘Sanfilippo’? è quello là, così se ne parla con calma”. Si salutarono, il marocchino proseguì il suo giro, senza rallentare l’impegno profuso nel proprio lavoro; Nicole chiese ad Andrea di entrare e farle compagnia in boutique, almeno per qualche minuto.

“Spiegami, Andrea, perché dici che io sono così trasparente?” “Ma non ci arrivi da te? non vedi tu stessa con quale disponibilità, proprio ora, hai trattato quel ragazzo africano? questo è il tuo modo di fare, con chi conosci e con chi non conosci. Ma anche sotto un altro profilo è facile accorgersi che sei una persona chiara e aperta: il tuo linguaggio della ragione è quasi coincidente con quello delle emozioni”. “Che vuoi dire? non potresti spiegarti un po’ meglio?” “In genere, quando parliamo – disse Andrea – ci sembra di esprimere soltanto un concetto per volta; in realtà le nostre parole, oltre ad avere il senso logico che noi intenzionalmente diamo loro, ne manifestano un altro, nascosto, per così dire sotterraneo che, con un po’ di allenamento, si impara a riconoscere e rivela un gran numero di cose circa lo stato d’animo di chi ti sta parlando, anche se questi difficilmente se ne rende conto. Nel tuo modo di discorrere, il significato palese e quello mascherato non si allontanano mai di molto, anzi hanno frequenti punti di sovrapposizione, e questo testimonia che il tuo animo è lineare, libero da conflitti non risolti”. “Ca c’est bizarre, quand je parle je fais des discours que ne m’aperçois pas de prononcer? ! quando io parlo faccio discorsi che non mi accorgo di pronunciare?”.  “Più o meno è così, ma stai tranquilla – sorrise Andrea – tu non dici nulla di compromettente. Altri, invece, hanno uno spirito meno ‘nature’, ed allora farsi un’idea del loro sentimento mimetizzato è un buon punto a favore”; Nicole strabuzzò gli occhi: “Ma che cosa è questa, magie noire?” Andrea la fissò con uno sguardo di rimprovero e si fece improvvisamente serio: “La magia non c’entra – disse – è psicoanalisi”.

Simona, la ragazza, si avvicinò a madame e chiese di uscire un paio d’ore prima della chiusura; “Due ore concesse – approvò Nicole – rimarrà lui qui con me, vero Andréchéri?” in quel momento lui le avrebbe largito un giorno intero.

Intorno alle diciannove passò di lì Federico Olmo, babbo di Luca, in Levi’s marroncino e giacca lunga scamosciata. L’uomo aveva un bel modo di fare, quasi sempre il sorriso sulle labbra e un approccio cortese, senza essere lezioso; ma alle parole preferiva i fatti e per questo, anche, aveva sposato Angela, che era altrettanto positiva e concreta; cosicché pochi avrebbero previsto che il figlio Luca sarebbe diventato così idealista e filosofo; senza considerare che spesso, invece, sono proprio i figlioli delle coppie dalla mentalità più aderente alla pratica che, per compensazione, sviluppano maggiormente la fantasia. Federico, di media statura, era stato da tempo sorpassato in altezza dal metro e ottantasette del figlio che, anche senza volerlo fare a spregio, prometteva di distanziarlo di altri centimetri. Angela ed il marito erano abituati a mantenere, nei confronti della gente, una riservatezza probabilmente involontaria ma certo ben munita, riguardo alle modalità della loro intesa matrimoniale: in pubblico, lasciavano trapelare poco circa la propria confidenza privata e quelli che li conoscevano potevano soltanto intuirne i contenuti dalle loro inclinazioni di carattere. Non era, la loro, solo l’abitudine mentale di lavare i panni sporchi in famiglia, ma anche la convinzione che quelli puliti non devono essere sbandierati ai quattro venti. E, in genere, in ogni manifestazione esteriore erano misurati e difficilmente andavano oltre le righe.

Malgrado ciò e pur incontrandosi poco frequentemente, avevano un’intesa con Nicole rara, tanto era completa; e la ragione risiedeva nell’intelligenza ordinata alla disponibilità degli uni e dell’altra, che stemperava, nel rapporto con lei, il rigore di casa Olmo; senza contare l’amicizia fra Roberto e Luca che consolidava ancor più il legame fra le due famiglie. Andrea, invece, pur accettato incondizionatamente da Federico ed Angela come compagno di Nicole, era un po’ troppo imprevedibile nello scambio verbale per incontrare una risposta piana e spontanea, tanto che la loro conversazione soffriva spesso di irrigidimenti reciproci e di momenti di imbarazzato silenzio. E quella sera in boutique, vivendo proprio uno di questi stati d’animo, Federico si stancò delle acrobazie che gli toccava fare per tener testa ai discorsi di Andrea e, tutto d’un tratto, manifestandogli palesemente la propria noia, prese ed andò via.

Una reazione così non era nello stile di Federico, tant’è che, pochi minuti dopo, il suo gesto di insofferenza già gli pesava sulla coscienza, ma ormai aveva preso la via Mammianese ed era quasi arrivato a Pietrabuona.

Nicole non si era accorta di nulla, ma Andrea, ferito nell’orgoglio, se l’era legata al dito: “Questi tuoi amici sono dei cafoni – le disse, dopo aver rimuginato fra sé e sé l’episodio – non hanno un minimo di capacità di stare al mondo e, neanche un po’, il senso della compagnia”. Nicole non prese bene queste parole: stava per replicare quando giunsero sul suo cellulare le scuse di Federico, che nel frattempo era arrivato a casa e la pregava di confermare la sua amicizia ad Andrea. “André – osservò Nicole rivolgendosi al compagno col tono che le era familiare quando si faceva decisa – non ti potresti dare una mossa ed essere più attento con le persone che mi sono care? Non è la prima volta che qualcuno ti trova pedante. Amicizie ne ho poche e non è mia intenzione perderle. Un po’ di diplomazia e savoir faire non guasterebbe”. Sarebbe bastato molto meno per dar fuoco alle polveri, Luzato partì in quarta: “Io sono quello che sono e non ne rendo conto a nessuno, non credo di dovermi modificare ad uso e consumo di ogni persona che incontro; voi donne avete la mania di cambiare il prossimo, e tu non sei diversa dalle altre. Ma se non ti sta bene come sono fatto… ci sono tanti uomini in giro, non hai che l’imbarazzo della scelta”. Una frase banale, anche priva di fantasia, ma alle orecchie di Nicole suonò forte e stonata, persino offensiva: “Au revoir, André – disse tendendogli la destra – per oggi ci salutiamo qui, abbiamo fatto fin troppo tardi, ce soir”. Con un gesto dell’altra mano invitò Luzato ad uscire e gli chiuse la porta alle spalle; lei fece arrivare le otto e, solo dopo aver rimesso accuratamente in ordine gli abiti ammonticchiati sul bancone che la gente si era provata durante il pomeriggio, abbassò la saracinesca e si incamminò a piedi. Non c’era più nessuno per strada: l’inverno, quel giorno, si era fatto meno freddo, ma l’ora di cena aveva spedito tutti nei propri appartamenti. Arrivata al portone, in viale Garibaldi, girando la chiave nella toppa, Nicole prese a singhiozzare e non smise nemmeno quando fu nell’ingresso di casa, non le sembrava possibile che una giornata tanto interessante finisse in un modo così infelice. Roberto le si precipitò incontro: “Maman maman, che c’è?” “Rien, mon mignon, rien, nulla, non ti preoccupare, un po’ di stanchezza”, si asciugò le lacrime e si ricompose in fretta. Cenarono insieme nella cucina-tinello di casa, guadagnandosi l’un l’altra una consolazione semplice, abitudine ad una sperimentata sofferenza che quei due sapevano ormai per che verso prendere

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