Capitolo XXXIV

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Dic 26

Capitolo XXXIV

Capitolo Trentaquattresimo

di Aldo Carpineti

capitolo trentaquattresimo

Giovanna, intanto, si era data da fare: una cartiera della Svizzera Pesciatina era disposta ad assumere tre giovani con contratto di formazione e lavoro, se la formazione fosse stata finanziata dal Fondo Sociale Europeo. L’operazione appariva vantaggiosa non soltanto per i neoassunti, che sarebbero entrati nel mondo del lavoro per la via diretta, ma anche per la stessa azienda, di piccole dimensioni, che avrebbe aumentato la sua capacità produttiva di una percentuale tutt’altro che irrilevante, dal punto di vista numerico, con la conseguenza di poter istituire turni, attraverso un addestramento a costo zero. 

A gruppi omogenei di aziende, Giovanna contava poi di trasmettere gli elementi fondamentali sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, secondo il decreto legislativo 626/94, a partire dalle disposizioni sulla valutazione del rischio. Ma l’aspetto portante del progetto della signora Crespi andava visto nello sforzo verso la crescita professionale degli operai della montagna pesciatina attraverso corsi, teorici e pratici, in aula e sulle macchine, di specializzazione e qualificazione nonché di riconversione su diverse mansioni: in questo modo contava di ottenere come risultato un miglioramento nella qualità del prodotto industriale finale, nelle condizioni di lavoro, nelle attitudini alla mobilità interna ed esterna dei lavoratori e, in definitiva, nel livello culturale della popolazione della zona. Senza contare la realizzazione di una migliore reciprocità tra mondo produttivo e territorio che è sempre alla base del radicamento di un’economia stabile.

Prevedere se i finanziamenti sarebbero stati concessi o no era tuttavia un’incognita, perché, per prassi, l’assegnazione da Bruxelles seguiva l’espletamento dell’attività e la presentazione di tutti i giustificativi. Però Giovanna Crespi aveva un asso nella manica: l’avvocato Rick Maertens! che oltre ad essere un esperto del ramo, aveva le mani in pasta.

Giovanna, rientrando dal Belgio, aveva promesso a Nicole che l’avrebbe chiamata, quando si fosse cominciato a lavorare sul progetto, e così fece; per Nicole questa novità cascava a fagiuolo, perché, dopo lo scambio vivace con Andrea, non lo aveva più incontrato: almeno per l’immediato, aveva dunque disponibilità a spendere momenti utili soprattutto fra le quattordici e le sedici, quando la boutique del Borgo era chiusa e l’azienda, al contrario, era già in apertura pomeridiana; Giovanna aveva diverse ore da concedere quotidianamente, a metà tra lavoro e hobby, all’operazione che muoveva i primi passi. Lei e Nicole riuscirono persino a mettere in previsione un apprezzabile compenso economico mensile per se stesse, da ritagliare fra le voci di addebito al F.S.E., cosa peraltro che corrispondeva alla normale prassi, rientrando nei capitoli della modulistica UE.

Mentre le due donne si erano divise compiti operativi, di natura tecnica e di natura amministrativa, era stato altresì assicurato l’appoggio consulenziale dell’Associazione degli Industriali di Pistoia, segnatamente per le relazioni esterne e i contatti ufficiali con le istituzioni. Ma chi, a distanza, faceva i giochi era Maertens che veniva informato con cadenze precise e ad ogni passaggio decisivo del procedimento cosicché poteva intervenire per suggerire eventuali aggiustamenti per i comportamenti a venire, forte della propria famigliarità con il diritto comunitario e della presenza nei pressi delle stanze dei bottoni.

Andrea non si era più fatto vivo nei pomeriggi al Caffè Centrale, né madame aveva ritenuto di chiamarlo: era dell’idea che il suo uomo, così suggestivo nelle frequenti chiacchierate filosofiche con lei, avesse bisogno di darsi una regolata nei rapporti con gli amici e, di conseguenza, un po’ di ostracismo gli poteva fare soltanto bene. In fondo era convinta che, come un vecchio cane fedele, Andrea sarebbe andato a cercarla quando lei meno se lo fosse aspettato. Ma il suo tradizionale ottimismo, per una volta ancora, doveva essere smentito da un momento all’altro alla prova dei fatti. Così Nicole rimase del tutto sconcertata una sera, allorché, mettendo il naso al Caffè intorno alle diciannove, un’ora poco consueta per lei, vide Andrea e Giovanna seduti ad un tavolino, in atteggiamento inequivocabilmente confidenziale, le mani nelle mani, a scambiarsi bacetti di contrabbando fra una parola e l’altra. “Accomodati Nicole - fece Giovanna palesando una buona dose di faccia tosta, ma senza evitare di tossicchiare imbarazzata e di schiarirsi la voce per proseguire – prendi qualcosa con noi?” “Oh, no grazie – rispose Nicole, guardandosi le unghie delle mani e facendo ben poco altro per dissimulare il proprio dispetto – di corsa un caffè al banco, ho fretta”. Bevve in pochi attimi poi, evitando di voltarsi dalla parte dei due, passò dalla cassa, posò ottanta centesimi sullo scontrino staccato da Elena e andò via; ‘Andrea aveva fatto assai presto a consolarsi’, fu il suo primo pensiero ma, esitando mentre usciva in strada, per un motivo più di ogni altro si sentiva sgomenta: non era Giovanna che aveva sempre trovato Andrea poco simpatico?

Dopo la fine straziante del matrimonio con Attilio, per madame un’altra storia sentimentale naufragava bruscamente e, come allora, le capitava di cogliere sul fatto senza rimedio il proprio partner. Nicole passò la serata a domandarsi che cosa sbagliasse con gli uomini; lasciando spazio a considerazioni negative sul proprio carattere, si chiese se, per il suo modo di proporsi, non apparisse una persona di poco spessore e arrivò anche a elucubrare su discorsi vecchi di Andrea e di Giovanna che la facevano dubitare se quella sua famosa trasparenza, quasi ai limiti dell’ingenuità, non fosse per lei un’arma a doppio taglio e se un po’ di prudenza non le avrebbe giovato di più; oppure, forse anche, se fosse condannata a mostrarsi sempre e comunque conciliante e non potesse permettersi, neanche qualche volta, di prendere posizioni rigide, pena conseguenze irrimediabili.

Non ci dormì metà della notte, ma fu brava a buttarsi deliberatamente dietro le spalle, già dal mattino seguente, qualsiasi tristezza e a fare in modo che le sue abitudini di sempre riprendessero il sopravvento su ogni possibile tergiversazione: Robert e le due boutiques bastavano, eccome, a riempire il suo mondo e non era proprio indispensabile crearsi altri rovelli. La sua esperienza di contabilità industriale si interrompeva lì, era durata esattamente diciannove giorni; madame non si presentò più in azienda, e nemmeno ritenne di avvisare o di dare una ragione: Giovanna, André e il Fondo Sociale Europeo potevano andare al diavolo e non valeva nemmeno la pena di dispiacersene.

Giovanna non fece una piega, allo scopo di poter proseguire i lavori richiese ulteriori interventi di supporto dall’Associazione degli Industriali e dal commercialista di fiducia; Maertens domandò, per posta elettronica, che cosa fosse capitato alla cara amica francese ed ebbe risposte evasive.

Intanto la temperatura si era alzata e le giornate si allungavano, di lì a poco sarebbe ritornata l’ora legale; a Montecatini arrivavano gli stranieri, terme ed alberghi avrebbero registrato presto il tutto esaurito: Valentina, Roberto e Luca, un sabato pomeriggio, assistettero, all’Imperiale, alla proiezione di Chocolat, un film svelto e piacevole, e poi ne discussero, tirando sera, nella veranda della gelateria del Biondi. A Viareggio, il Carnevale era da tempo archiviato con il successo del carro che raffigurava un gigantesco zio Paperone con la faccia di Berlusconi e i tre paperini con quelle di Follini, Fini e Bossi; la precoce primavera riempiva di gente la passeggiata e l’Excelsior aveva riaperto i battenti. Al Fanatiko era cambiata gestione

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