Capitolo XXXV

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Dic 27

Capitolo XXXV

Capitolo Trentacinquesimo

di Aldo Carpineti

capitolo trentacinquesimo

Leonardo, fratellino di Valentina, aveva imparato presto il sofisticato mestiere del figlio: pur non essendo né un ruffiano né un piagnucoloso, sapeva puntualmente ottenere dai propri genitori tutto quello che gli stava a cuore. Il ragazzino aveva costruito un’arte sopra la propria dialettica, adeguata all’età, ma simpaticamente furbacchiona, a volte tanto spiritosa da correre sul filo del canzonatorio, subito avvolgente, poi man mano così stringente ed efficace che le resistenze di Giovanna e soprattutto quelle di Giorgio, prima o dopo, finivano per cadere fatalmente, come le mura di Gerico.

Usando queste esperienziate strategie, a cominciare dai primi di marzo prese a lavorarsi padre e madre perché, a fine mese, per il suo nono compleanno, che rappresentava, a sentir lui, la fine di un’era e l’inizio di una nuova, si facesse una grande festa nella casa con le vetrate, a Vellano: diceva che si sarebbe verificata, proprio in quella data, una congiunzione tra due stelle non visibili ad occhio nudo, ripetibile soltanto fra diecimila anni, che avrebbe portato ad un lungo periodo di benessere per l’umanità se la combinazione astrofisica fosse stata festeggiata come si deve; non c’era possibilità di tirarsi indietro, avrebbe invitato quelli, fra i propri compagni di scuola, più assidui alla sua ghenga, e qualche collega di pizze del Pulter. Giorgio, malgrado tutta la sua inappuntabile rigidità, non seppe dire di no, come c’era da aspettarsi ma, questa volta, pose condizioni necessarie: alla serata sarebbero stati presenti anche gli amici del babbo e della mamma. Puntualizzò: quelli di sempre, più tre avvocati con le consorti e altre due coppie.

Ma non si fermò qui: avrebbero cenato tutti nella sala rococò, a due tavoli separati, uno per gli adulti l’altro per i ragazzi, in modo da consentire a questi di scatenare la loro esuberanza senza turbare la sacralità conviviale dei grandi; non sarebbe mancata, per creare ambiente, nemmeno la musica di un’orchestrina alla moda, sassofono, tastiera e ragazza vocalista, che Giorgio aveva apprezzato insieme a Giovanna, una sera d’estate, al Regina, un café chantant all’aperto, zona Casacce; soltanto a mezzanotte, Leonardo avrebbe spento le candeline di una gigantesca torta con la panna e aperto tutti i regali. Il progetto dell’avvocato prevedeva anche di dare l’incarico della cucina ad un cuoco professionista e del servizio a due camerieri in giacca e guanti bianchi.

Quando seppe di tutto questo po’ po’ di programma, a Giovanna prese un mezzo colpo: certamente l’invito avrebbe riguardato anche Andrea e Nicole, che Giorgio credeva ancora coppia felice e salda. Giovanna non osava immaginare quale sarebbe stato l’animo, il grado e gli argomenti della conversazione, quella sera, soprattutto se i due avessero deciso di non mancare; non solo, e se Giorgio, proprio durante la festa, avesse finito per sapere da qualcuno, già avanti con l’alcool o in vena di spiritosaggini, dell’amorazzo della moglie? che si sarebbe potuto fare? sciogliere sbrigativamente il consesso o far finta di niente? o chiudersi a chiave in camera? portata fin quasi allo sconforto da questi timori, tuttavia non seppe trovare motivi validi per opporsi ragionevolmente all’idea del marito e del figlio; volle almeno che gli inviti li facessero i due uomini, in realtà per evitare di trovarsi nella situazione di dover chiamare Nicole, ufficialmente con la scusa che l’idea era stata di impronta maschile e di tal segno doveva rimanere anche la fase attuativa.

Lei e Andrea filavano ormai di una intesa sapida forse proprio perché contraddittoria e, malgrado le circostanze, neanche tenuta troppo clandestina, anzi ormai nota a tutti fuorché a Giorgio: la natura passionale di Giovanna aveva scoperto in Andrea un soggetto dal carattere diametralmente opposto a quello del marito, uomo per il quale, a parte le dolcezze verso il figlio, la vita privata e la professione non avevano confini precisi: una calcolata partita a scacchi, razionale e fredda, priva di forti sentimenti e slanci emotivi. Forse per queste ragioni, del resto a lei ben note dopo una quindicina d’anni di matrimonio, Giovanna aveva sempre cercato compensazioni nell’impegno sociale dandosi un’impronta attraverso i contenuti lodevoli delle sue occupazioni. Da un momento all’altro Andrea cominciò a rappresentare per lei una fonte inesauribile di curiosità, l’interesse verso tutto un genere di tipologie umane così differenti da quelle che fino ad allora le erano state famigliari e le avevano ispirato conforto e sicurezza; il professore divenne un invincibile stimolo verso l’ignoto, un mare nel quale pescare interrogativi mai appagati, una rinvigorita ansia di conoscenza. D’altra parte Giovanna viveva questa complessa circostanza con grande senso di colpa nei confronti di Giorgio, verso il quale nutriva l’affetto di tante aspettative condivise e lunghi anni di vita in comune. Invece le sembrava di non avere nulla da rimproverarsi nei confronti di Nicole, che non poteva aspettarsi da lei tanti riguardi, se Andrea aveva deciso di non averne nessuno e già il loro ménage aveva sperimentato dissapori irrisolti. 

Fu lo stesso Leonardo a firmare i bigliettini, stampati con gusto dalla Tipografica Pesciatina e spediti da Giorgio per posta prioritaria. Nicole, si sa, dimenticava presto il male che le era stato fatto ma, questa volta, declinò l’invito alla festa senza dare troppe spiegazioni, così il cruccio più pesante di Giovanna si risolse presto. Madame mandò invece il figlio Roberto, che ormai era qualcosa di più di un ragazzo ed era ritornato quella dolcissima canaglia che ognuno aveva conosciuto prima che si sentisse male; era riuscito a ricondurre nei canali di una accettabile e affettuosa furfanteria quella spinta all’affermazione di sé che per un lungo periodo aveva vissuto in modo conflittuale e sofferto; gli mancava ancora una continuità di tono mentale e di prontezza alla risposta, cosicché in molte circostanze aveva difficoltà a reggere lo scambio verbale, però, in fin dei conti, per tutti era una persona normale anzi, in genere, lo trovavano anche più simpatico di prima.

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