Capitolo XXXVI

La casa con le vetrate

Tre famiglie della borghesia medio-alta ed alcuni personaggi non di contorno vivono amori, amicizie e professioni scambiandosi confidenze ed affetti; si può considerare un romanzo di costume figlio di un certo cinema francese degli anni ’70 cosiddetto confidenziale o intimistico di cui Michel Piccoli è rimasto l’interprete più significativo insieme ad un giovane Gérard Depardieu.
Il racconto si sviluppa nella periferia toscana ma, pur nella attenta e particolareggiata descrizione dei paesaggi, potrebbe avere ambientazione ovunque per la universalità dei temi trattati. Si osservano qui gli animi umani nelle loro relazioni geometriche più sottili e complesse e si fanno oggetto di una trama che si snoda in situazioni molto vicine alla realtà e particolarmente aderenti al mondo di oggi. La casa, che compare fin dalle prime battute del romanzo, ha un chiaro significato allegorico. Questo romanzo, il più conosciuto fra quelli di Aldo Carpineti, è stato scritto in parte nell’ultimo anno del periodo toscano dell’autore e per il resto contemporaneamente al suo rientro a Genova.

Aldo Carpineti

Aldo Carpineti
È nato a Genova il 12 ottobre 1949. Dopo la gioventù genovese, liceo Classico e laurea in Giurisprudenza ha fatto del cambiamento un modo di vivere; si è spostato per lunghi periodi nel Veneto e nelle Marche, tre anni a La Spezia, sedici in Toscana, per poi fare ritorno ogni volta alla vegia Zena. Prima sottotenente di vascello in Marina, poi funzionario aziendale nelle relazioni industriali, è stato anche manager di gruppi professionisti di musica classica, barocca, jazz. Ha pubblicato Stanzialità e Transumanze (2003) riflessioni in epigrammi su argomenti di varia natura, Finestre su Paesaggi Miei (2004) due racconti di cui il secondo è un noir, La casa con le vetrate (2006), Un amore Maturo (2012). Fra tutte le cose che fa abitualmente non c’è nulla che gradisca quanto sedersi al tavolino di un caffè o di un ristorante in compagnia della figlia Giulia.

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Dic 28

Capitolo XXXVI

Capitolo Trentaseiesimo

di Aldo Carpineti

capitolo trentaseiesimo

Come sempre accade, quella sera si attese più di qualche quarto d’ora prima di dare inizio alla cena, con gli ospiti già seduti a tavola. L’atmosfera pareva non risentire delle ambiguità di Giovanna e Andrea, malgrado non avessero rinunciato a prendere posto l’una a fianco all’altro approfittando del fatto che la disposizione attorno al tavolo era dichiaratamente informale. Vennero serviti ai giovani, in bicchieri multicolori, aperitivi alla frutta senza alcool, agli adulti in calici di cristallo due varietà di demi sec, un Paradise: base di gin, poi apricot brandy, spremuta d’arancia, spumante; e un Lucas: succo di limone, brandy, triple sec, spumante. In ogni flut, un ombrellino cinese di carta crespata dai colori tenui, capace di aprirsi e chiudersi, se trattato con delicatezza, infilzava di sghimbescio una buccia d’arancia nel Paradise e una ciliegia sotto spirito affogata con tutto il picciolo, nel Lucas: Leonardo li raccolse tutti, senza lasciarne neanche uno in giro e li stockò nel cassetto del proprio tavolino, sarebbero tornati a proposito come merce di scambio per ottenere qualcosa di più consistente. L’orchestrina aveva attaccato con alcuni brani di jazz stile ‘Dixieland’, e poi proseguito con le canzoni eufoniche di Mina e della Berté. A tavola l’argomento centrale fu, inevitabilmente, lo stato dei lavori di Giovanna nella formazione professionale; ma venne affrontato non di seguito, qua e là durante tutta la serata, in frammezzo ad altri argomenti; lei invece stava sulle spine per i motivi suoi e sorvegliava i discorsi che potevano prendere strade pericolose se il diavolo ci avesse messo la coda; si parlò dell’impegno in consiglio comunale di uno dei presenti che aveva presentato un colossale progetto per il drenaggio del Pescia; nonché dell’ultima sentenza della Corte Costituzionale in materia urbanistica, a proposito della quale diversi dei convitati, non soltanto i legali, seppero dire la loro, in primis gli Olmo, che non erano estranei all’argomento dei suoli edificabili: espropriazione a prezzi agricoli o a prezzi di mercato? questo il busillis, “problema squisitamente politico prima ancora che giuridico, vecchio quanto il mondo - spiegò Giorgio – di sicuro c’è che le espropriazioni senza indennizzo o con indennizzo simbolico sono incostituzionali”. Si fece persino il nome di Nicole, per elogiare la raffinatezza delle sue boutiques, e Giovanna trasalì, ma ognuno si guardò bene dall’informarsi sulle ragioni dell’assenza, e si passò ad altro.

Finalmente, in un servizio di vecchio Ginori bianco, tanto caro a Giovanna, aprì le portate un delicatissimo piatto di linguine agli scampi già sgusciati, con il caratteristico odore sottile ma pregnante dei crostacei. Angela, forchettando compiaciuta, disse che le trovava sublimi tanto erano raffinate: più d’uno rispose annuendo con la testa senza interrompere la masticazione. Seguì una frittura mista di paranza o, se preferita, senza lische, coi pesciolini che sembravano saltare, da come il fritto sapeva ancora di mare; qualcuno cominciava a dire di essere già sazio: Giovanna avvertì che avrebbe castigato chi non avesse mangiato tutto….

Il cuoco intendeva onorare i riconoscimenti e gli attestati che si era guadagnato nel corso della sua carriera, i camerieri girottolavano discreti fra i commensali senza condizionarne l’autonomia di movimento. Lasciati passare dieci minuti per riprendere fiato, si proseguì con un cacciucco alla livornese dal sapore carico, un capolavoro per amatori dagli stomaci profondi: acciottolando fra piattini e cocci che erano a disposizione, ogni commensale riuscì a gustare di tutto un po’. Già a quel punto si poteva contare una dozzina di bottiglie di bianco vuote, con le più diverse etichette: tra le altre, due di Verdicchio dei Castelli di Jesi, città natale di Luzato, fatte arrivare appositamente dal professore. Giorgio volle commentare con i colleghi una sentenza del Tribunale del lavoro di Pistoia che si era pronunciato in maniera impeccabile sulle istanze di un ex dipendente di una media azienda locale a proposito dell’inserimento degli straordinari nel calcolo del trattamento di fine rapporto: il giudice aveva tenuto conto della continuatività delle prestazioni oltre il normale orario di lavoro; una signora, fuori dalle righe, sosteneva che ‘I soliti ignoti’ e ‘La grande guerra’ sono i capolavori più importanti della storia della cinamatografia italiana, le altre approvavano, ostentando sicurezza, anche quelle che non avevano visto i due film; Andrea tenne testa a tutti per un bel pezzo sostenendo la tesi secondo la quale Giordano Bruno e Baruch Spinoza sono i più grandi fra i filosofi perché riconoscono il valore oggettivo dell’universo: “chiedo scusa alle signore – argomentò di proprio - l’atto sessuale ci avvicina alla completezza universale perché in esso ci liberiamo dei confini dell’individualità per ritrovarci nell’‘insieme’, nell’ebbrezza della risata superiamo il nostro ego; all’infinito due rette parallele si incontrano e la quadratura del cerchio è possibile; tutte le cose diventano ‘uno’ - disse parafrasando Pitagora - nell’‘uno’ tutto si concentra – concluse tornando a metterci qualcosa di suo – l’universo è un punto, l’eternità è un attimo: spazio e tempo sono solo dimensioni umane, fanno parte della nostra natura relativa”; queste parole lasciarono dietro di sé un momento di stupito silenzio, fra l’ammirazione e l’incredulità; ma subito dopo ci fu chi, cadendo nel più banale dei luoghi comuni e con imperdonabile mancanza di rispetto verso il discorso di Luzato, si lasciò andare al punto da dire che non aveva mai mangiato così bene in vita sua e che adesso sarebbe rimasto digiuno per due giorni. Andrea considerò ingrata quella persona: “mancava solo dicesse che a tavola non si invecchia….” mugugnò scandalizzato il professore rivolgendosi a Giovanna. La conversazione riprese presto quota con la descrizione che lei fece in modo spiritoso e disinvolto, malgrado i patemi di quel momento, delle sue lezioni sul contratto collettivo ai giovani neo-assunti della cartiera. Giovanna aveva ormai la padronanza terminologica di quella parte della materia giuridica e non solo per essere moglie di un avvocato: a lei non sfuggiva che questo nuovo ritocco alla propria già invidiabile cultura faceva crescere ancora la considerazione che i convitati avevano per lei, e certamente non le dispiaceva: diede un colpetto col ginocchio destro, sotto la tavola, al ginocchio sinistro di Andrea… “sono sempre il tuo tipo, vero?” sussurrò, piacendole sentirselo ripetere.

Come le braci cominciano a guizzare se alimentate da un alito di vento, allo stesso modo, poco per volta, prima in sordina poi sempre più rumorosamente, crebbe un tourbillon di facezie e lazzi verbali, nel quale il tavolo degli adulti e quello dei ragazzi si unirono e si mescolarono. Un amico di vecchia data, tal Gianmarco Rosi di Capannori, cliente di Giorgio in una causa a proposito di una servitù di passaggio mai giunta a termine, dopo aver ottenuta l’attenzione dell’intera tavolata, lasciò tutti di stucco svelando storie del proprio fidanzamento ghiotte quanto inedite; la moglie stava allo scherzo e sorrideva, poi quando Gianmarco cominciò ad esagerare Sara, donna intelligente quanto misurata, con garbata fermezza gli impedì di proseguire; “Gianmarco non è più ne’ suoi cenci” commentò qualcuno sottovoce, e in effetti di vernaccia ne era andata tanta…. Soltanto Giorgio conservava la propria imperturbabilità ma, quando i ragazzi trascendevano nelle loro esplosioni di ilarità, socchiudeva gli occhi e storceva la bocca a fessura di salvadanaio.

Gustato un sorbetto al limone, ottimo per digerire, dopo le ventitré e trenta, mentre si passava ai vini rossi e veniva servito il vassoio di arrosto in umido con le patate finlandesi incandescenti nella carta d’alluminio insaporite dalla senape, nonché l’arista con i crauti, la musica acquistò ancora presenza: venne eseguita una rassegna di pezzi di Gerswhin, poi Bacarach e Chico Buarque de Hollanda. “Questa musica mi entusiasma – rivelò ancora sottovoce Giovanna ad Andrea – invece devo ammettere che non afferro il senso della musica classica, non ne comprendo il discorso, le emozioni; certo è un mio limite, dovrò dedicarmici prima o poi. Dopo le ultime note dell’autore brasiliano, una sospensione momentanea dell’attività dell’orchestrina indusse qualche minuto di quiete che sembrò strana, come se la normalità non fosse quella. Giovanna approfittò di questa pausa per servire personalmente cantuccini e vin santo, nettare liquoroso cosiddetto ‘da meditazione’ con il tipico sapore fra il dolce e l’aspretto; e poi paste secche di ogni tipo, fra le quali vennero preferiti, senza farne mistero, gli amaretti liguri di Sassello, inviati a Giorgio da un collega di Varazze.

Rispettato il quarto d’ora accademico, a mezzanotte passata fece il suo ingresso la torta di cacao, panna e fragole, bella come un atollo polinesiano: aveva, nel centro, un grande numero 9 di cera e, sopra, lo stoppino acceso. Leonardo, al settimo cielo, dopo aver soffiato sulla fiammella con la veemenza del vento sul monte Battifolle, tagliò la prima fetta e la consegnò, con gesto plateale, alla bambina che gli stava a fianco, scegliendole anche la fragola più grossa; lei, che aveva un vistoso fiocco fra i boccoli dorati e un grande colletto bianco a trina sopra un vestitino a quadri scozzesi verdi sfumati con grossi bottoni sul petto, lo guardò con una mimica del viso che esprimeva tutta la sua riconoscenza e gli appiccicò un bacione sulla gota destra. Lui arrossì, ma le restituì il bacio, pur con gesto frettoloso; seguirono applausi, auguri, complimenti, strette di mano, buffetti sulle guance, tiratine d’orecchi e grande letizia.

Contemporaneamente al rito del dolce, i botti degli spumanti freddi originari di cantine piemontesi furono l’adeguato epilogo; le bottiglie avevano marche prestigiose e il fondo cavo per favorire la presa professionale, e il tappo di sughero autentico, con il fil di ferro e la mascherina per ingabbiarlo. Alcuni dei ragazzi salutarono e si allontanarono, dopo che i parenti, sopraggiunti, ebbero mangiato una porzione della torta rimasta, secondo un copione cui tutti erano ormai abituati, altri si fermarono; questi, anche se prossimi a cadere tra le braccia di Morfeo, trovarono ancora il modo di entusiasmarsi disquisendo sulle ultime tre curve di Valentino Rossi a Donington. Gli adulti presero a conversare divisi a gruppetti ridimensionati, più pacatamente, tenendo la voce bassa ed arrivarono a fare le ore piccole: nei loro discorsi, ridiventati cauti, si soppesavano gli argomenti e le parole, come scegliendole ad una ad una, per essere sicuri di finire la serata senza dissensi: Giovanna si mantenne sulla paesaggistica e disse che la Corsica, tanti anni fa, non le era parsa meno affascinante della Sardegna, che le Bocche di Bonifacio sono uniche, che Santa Giulia è una delle baie più belle del Mediterraneo, anche in giugno quando l’acqua non è poi così fredda, che l’entroterra boscoso quasi sgomenta tanto è vergine e selvaggio, in più, a Porto Vecchio, si mangiano pizze che non hanno niente da invidiare a quelle italiane; Angela raccolse il testimone raccontando di una visita con la famiglia a Segesta, località archeologica siciliana della provincia di Trapani, e ricordava l’entusiasmo di Luca, che aveva sperimentato l’acustica sorprendente del teatro; l’avvocato Giovetti, collega di Giorgio con studio in Monsummano, parlò, nelle grandi linee, della riforma del Codice di procedura civile e, con i due colleghi, prese in considerazione l’opportunità di partecipare ad una giornata informativa sull’argomento, che si sarebbe tenuta presso il Palazzo di Giustizia di Pistoia, a cura di due Magistrati di Cassazione ed un Cattedratico proceduralista. Finiva l’ultimo giro dei brandy spagnoli: Rosi, tornato in sé con due tazzine di caffè amaro, passò la mano dopo il Cardinal Mendoza.

Toccò poi al Martell nei bicchieri panciuti tipo Napoleon, e venne messa a disposizione una scelta di whisky: Chivas Regal, Ballantines, Long John, Black and White, Glen Grant, Jack Daniel’s; come ammazzacaffè, Bijlsma Korenwijn, grappa olandese, che fece l’effetto di una randellata sulla resistenza dei più; “sic transit gloria mundi” commentò Giovanna. Cosicché, congedati poco dopo le due anche gli ospiti più tenaci, rimase, buon ultimo, soltanto Luzato che, perfettamente lucido, si attardava a spiegare a Giorgio quali sono le affinità fra cow boys del west e butteri maremmani; l’avvocato, che non voleva rimanere indietro, gli rese la pariglia dissertando a lungo sui punti di contatto tra il giusnaturalismo e la frontiera americana. Andato via anche Luzato, finalmente insonnolito ed arruffato come un uccellino, Giovanna tirò un sospiro di sollievo. Tutta la famiglia Crespi si fermò nella casa con le vetrate, a pernottare nelle camere del piano di sopra.

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